Chi ha paura di Olympe de Gouges ?

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„Nessuno deve essere perseguitato per le proprie opinioni, anche fondamentali; la donna ha il diritto di salire sul patibolo; allo stesso modo, deve avere anche quello di salire sulla Tribuna, purché le sue manifestazioni non turbino l’ordine pubblico stabilito dalla Legge.“

„Uomo, sei tu capace di essere giusto? Chi ti pone questa domanda è una donna: questo diritto, almeno, non glielo toglierai. Dimmi. Chi ti ha dato il potere sovrano di opprimere il mio sesso? la tua forza? le tue capacità? Osserva il creatore nella sua saggezza; percorri la natura in tutta la sua grandezza, alla quale sembri volerti avvicinare, e dammi, se ne hai il coraggio, un esempio di questo potere tirannico. Risali agli animali, consulta gli elementi, studia i vegetali, getta infine uno sguardo su tutte le modificazioni della materia organizzata; e arrenditi all’evidenza, quando io te ne offro il modo. Cerca, scava e distingui, se puoi, i due sessi nell’amministrazione della natura. Ovunque, li troverai confusi, ovunque essi cooperano in armonioso insieme a questo capolavoro immortale!“

Olympe de Gouges


ALLA RICERCA DELL’UGUAGLIANZA PERDUTA

Un mattino di novembre del 1793 Olympe de Gouges saliva sul carro che l’avrebbe condotta al patibolo. Pochi momenti prima di essere giustiziata, ella ripeté: “Le donne avranno pur diritto di salire alla tribuna, se hanno quello di salire al patibolo”. Così recitava il decimo articolo della Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine, documento che lei stessa aveva redatto nel 1791.
Anche se più di due secoli ci separano ormai dalla caduta della Bastiglia, simbolo di un evento che ha per sempre cambiato la faccia dell’Europa, riconsiderare l’esperienza di Madame de Gouges alla luce dei giorni nostri è tutt’altro che anacronistico.
È nella Rivoluzione francese, infatti, che affondano le radici gli ordinamenti politici di molti stati occidentali.
Gli echi di quel moto epocale possiamo ascoltarli ancora oggi leggendo, per fare l’esempio più vicino a noi, quel documento coinvolgente e prezioso che è la Costituzione italiana.
Nel terzo dei principi fondamentali leggiamo: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”; parole che riprendono senza dubbio quelle del primo articolo del celebre documento del 1789:
“Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune”.
Non sbagliamo nel dire che i principi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, insieme alla prima parte della Dichiarazione d’Indipendenza americana, hanno rappresentato uno dei più alti riconoscimenti della libertà e della dignità umana. Non a caso la loro affermazione è valsa alla Francia il titolo di “Patria dei diritti dell’Uomo”.
È ancora più significativo dunque che, appena due anni dopo la proclamazione rivoluzionaria che, come un tuono, aveva fatto tremare tutto il continente europeo, Olympe de Gouges sentì la necessità di “contrapporre” a questa la sua Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine, indirizzata direttamente alla regina Maria Antonietta. Tale scritto è probabilmente tra le testimonianze più immediate del fatto che persino nel testo dell’89 Olympe aveva già avvertito, come una cupa nota stonata nell’entusiastica fanfara della Rivoluzione, un’evidente e non risolta contraddizione.
Proprio la Dichiarazione che annunciava l’uguaglianza fra tutti gli uomini lasciava di fatto inaspettatamente escluse le donne, svelando così la sua natura del tutto parziale.
La contraddizione che Madame de Gouges intravide fu, quindi, proprio la discrepanza che di fatto esisteva tra l’uguaglianza formale, proclamata a gran voce dall’atto del 1789 e quella sostanziale, non riscontrata nella prassi rivoluzionaria.
Per questo motivo la presa di posizione della drammaturga francese ci riguarda tuttora e le sue parole persistono ancora oggi come un “rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile la fa da padrona”.
Eppure, la storia ci insegna che purtroppo alla Dichiarazione in versione femminile toccò alla fine lo stesso destino di quella maschile, pure così giustamente “contestata”:
rimasta, infatti, anch’essa sulla carta, per quanto straordinaria e necessaria, i suoi principi non furono mai concretamente applicati. Se è vero, infatti, che la Rivoluzione nata dal pensiero illuminista aveva per sempre cambiato il volto dell’Europa, è vero anche che nei secoli successivi non ci fu quel balzo in avanti che ci si sarebbe aspettati: al contrario, la cultura occidentale liberale, dopo alterni tentativi ottocenteschi, fu travolta nel ‘900 da eventi traumatici particolarmente straordinari.
Inizialmente, il liberalismo del XIX secolo parve raccogliere in parte l’eredità illuminista riprendendo i principi di uguaglianza e libertà. Tuttavia, nonostante il liberalismo fosse ancorato saldamente al concetto di libertà, anche in
questo caso la discrepanza fra dimensione formale dei principi e loro attuazione sostanziale non produsse i frutti sperati. Di fatto neppure la libertà economica, uno dei caposaldi del pensiero liberale, si realizzò pienamente, anzi la maggior parte della popolazione rimase ben presto esclusa dall’accumulo della ricchezza e la questione sociale arrivò al liberalismo dritta come un pugno allo stomaco.
È ancor più significativo il fatto che l’unico provvedimento atto a porvi rimedio fu l’elaborazione nei vari paesi europei di una serie di statuti in cui il principe “concedeva” diritti altrimenti naturali: di qui un’altra clamorosa contraddizione.
Il fatto che questo tipo di documenti siano il massimo che questo secolo riuscì a produrre, è la prova evidente che la cultura liberale non è stata in grado di produrre passi in avanti significativi rispetto alla discrepanza di cui sopra.

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