La lawtech. L’ntelligenza artificiale nel sistema giuridico/legale.

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La lawtech.

L’aspirazione all’intelligenza artificiale è vecchia quanto la capacità dell’uomo di riflettere su se stesso, sul mondo che lo circonda e sul suo modo di percepirlo e di modificarlo. Sin da quando ha avuto mezzi tecnici sufficienti, l’uomo si è dedicato alla costruzione di macchine e meccanismi capaci di simulare un comportamento intelligente.
Tuttavia è solo da ” poco tempo” che sono disponibili le tecnologie adeguate per lo sviluppo di sistemi intelligenti così che, quasi simultaneamente, si è giunti nei paesi avanzati a considerare di fondamentale importanza l’intelligenza artificiale ed i sistemi esperti in particolare.
Lo studio dell’intelligenza artificiale è senz’altro uno dei campi più stimolanti che si è sviluppato dall’avvento della tecnologia dei computer. Esso coinvolge varie e diverse discipline, come ad esempio la filosofia della mente, la psicologia cognitiva, la linguistica, oltre alla fisica, alla matematica e ad altri campi della scienza e della meccanica relativi specificamente alla realizzazione delle macchine.
Parallelamente agli sviluppi della cosiddetta informatica “classica”, che studia algoritmi e sequenze di istruzioni e procedure, si è sviluppata una ricerca per tentare di simulare ed emulare attraverso i computer alcuni dei comportamenti ritenuti caratteristici dell’intelletto umano. Questa ricerca ha preso il nome di Intelligenza Artificiale.


L’intelligenza artificiale trova già applicazione in diversi settori ( finanziario, medico, immobiliare, gestione del rischio)


A.I. nei mercati finanziari

Tuttavia la sua diffusione nel settore giuridico/legale è, per ora, limitata,anche se già si intravedono quali potranno essere i futuri sviluppi e le conseguenti problematiche di carattere etico che saranno da affrontare. La domanda, però, a cui questo articolo vuole rispondere è se l’intelligenza artificiale potrà sostituire la professione giuridico/legale.

Facciamo il punto.

Applicazioni nel sistema giuridico.

Alla fine degli anni ‘70, l’interesse della ricerca informatico-giuridica si è spostato progressivamente verso l’intelligenza artificiale e, in particolare, verso la realizzazione di sistemi basati sulla conoscenza giuridica.

Il sostanziale fallimento dell’informatizzazione della attività giuridica in senso stretto attraverso le tecniche informatiche tradizionali ha spinto gli operatori a ricorrere alle tecnologie proprie dell’intelligenza artificiale, sulle quali si sono riversate le stesse aspettative e i timori che accompagnarono il primo ingresso dell’informatica nel mondo del diritto.

Il tentativo di realizzare applicazioni giuridiche dell’intelligenza artificiale solleva questioni vicine ai classici temi della scienza e della teoria del diritto. Per informatizzare il lavoro giuridico in senso stretto, non è sufficiente applicare al diritto tecnologie sviluppate in altri settori, ma è necessario uno stretto rapporto tra studi informatici e studi giuridici (e, in particolare, filosofico-giuridici).

IL METODO DEDUTTIVO

L’intelligenza artificiale s’ispira fondamentalmente al modello del sistema deduttivo e, pertanto, la realizzazione di sistemi informatici intelligenti si scontra con due problemi fondamentali: l’esplosione combinatoria e l’impossibilità di realizzare una formalizzazione esaustiva. Si analizzerà adesso che cosa ciò significhi in campo giuridico.

Il problema dell’esplosione combinatoria sorge, di regola, quando l’inferenza (il cammino)che conduce alla soluzione del problema si compone di una sequenza di passi di una certa lunghezza, e ogni passo pone come necessaria la scelta tra più assiomi e/o regole ciascuno egualmente applicabile. Per risolvere, quindi, in maniera esaustiva il problema, lo stato iniziale si espande in tutti gli stati successivi, dal primo al secondo e così via fino all’ultimo livello. L’esplosione combinatoria s’incontra frequentemente nei giochi e nei problemi logico-matematici.
Il problema dell’esplosione combinatoria non sembra costituire un limite insormontabile per lo sviluppo di sistemi informatico-giuridici intelligenti.
Difatti la deduzione di un “teorema giuridico”, cioè della disciplina giuridica di una fattispecie determinata, non presenta problemi di questo tipo. Qualora le norme da applicare siano state rappresentate in un linguaggio formale, di modo che sia possibile la loro applicazione automatica, e si rappresenti nello stesso linguaggio anche la fattispecie, la deduzione della disciplina della medesima è, di regola, relativamente semplice. L’ordinamento giuridico (o anche un settore del diritto), infatti, si compone di un numero enorme di regole, ma solo alcune possono essere applicate in una situazione determinata.

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Fattispecie (t. gen.): Con tale termine si fa riferimento ad una particolare situazione giuridica considerata e disciplinata dal diritto.

In particolare, si distingue una Fattispecie:

—  astratta, che indica l’astratta previsione normativa relativa a quell’accadimento, individuando gli effetti giuridici da esso prodotti;

—  concreta, che individua il singolo fatto che si è verificato.

Quest’ultimo deve essere confrontato con la Fattispecie astratta per verificarne la coincidenza e dedurne la produzione dell’effetto (cd. procedimento di sussunzione).

La Fattispecie può essere:

—  semplice: se è costituita da un solo fatto giuridico (es.: morte di un individuo);

—  complessa: quando l’effetto tipico si produce solo con il verificarsi di più fatti giuridici. Quando tra i fatti che costituiscono la Fattispecie sussiste un collegamento di ordine logico e cronologico si parla di Fattispecie a formazione progressiva o procedimento (es.: l’acquisto di un bene sotto condizione sospensiva si compone dell’atto di compravendita seguito eventualmente dall’avveramento della condizione prevista).

Fonte: https://www.laleggepertutti.it/dizionario-giuridico/fattispecie.

La difficoltà di un problema giuridico, una volta che esso sia stato ridotto alla dimensione deduttiva, sta nell’individuazione della disciplina applicabile alla fattispecie (compito nel quale un sistema automatico può essere assai efficiente, trattandosi di confrontare la
fattispecie e le strutture rappresentative contenute nella base di conoscenza), piuttosto che nella scelta tra più regole tutte egualmente applicabili (dove le capacità di giudizio diventano determinanti e, in contesti complessi, insostituibili).
L’esplosione combinatoria può, invece, rappresentare un serio problema in quei sistemi di pianificazione giuridica, che si propongono di suggerire la linea di condotta più opportuna per raggiungere un certo scopo giuridico. In questi casi, per risolvere il problema si ricorre ai  metodi euristici attraverso i quali è possibile guidare un processo di ricerca nella direzione più utile, indicando quale cammino seguire per primo quando ve ne è più di uno disponibile. Quanto più accurata è la stima che la funzione euristica fa dell’importanza di ogni nodo dell’albero di ricerca, tanto più diretto sarà il processo di soluzione.
Con il metodo euristico, quindi, si costruisce una struttura di controllo che anche se non garantisce di trovare la risposta migliore, trova, comunque, una risposta molto buona in tempi accettabili.

Il problema della formalizzazione ha un’importanza centrale nella realizzazione di applicazioni giuridiche dell’intelligenza artificiale. Proprio perché le questioni giuridiche, una volta ridotte alla scarna dimensione del puro ragionamento deduttivo diventano relativamente semplici, il problema principale, in diritto, consiste nella costruzione di un sistema deduttivo formale: l’uso dell’intelligenza artificiale nel diritto riposa sulla possibilità di formalizzare contesti giuridici.
La diffusione, ormai ampia, di programmi tradizionali capaci di applicare automaticamente le norme giuridiche è la prova che, in una certa misura, la formalizzazione del diritto è possibile.
Questi sistemi, infatti, si basano su una rappresentazione formale del processo d’applicazione delle norme e, quindi, su una formalizzazione implicita delle stesse. L’intelligenza artificiale ripropone il problema in una dimensione nuova, poiché intende affrontare anche problemi complessi, attinenti al lavoro giuridico in senso stretto, e muove direttamente dalla rappresentazione formale della normativa giuridica .

L’uso di strumenti deduttivi nel pensiero filosofico-giuridico ha incontrato numerose critiche.

Taluni autori hanno ridimensionato l’importanza del ragionamento deduttivo, negando che esso costituisca l’aspetto esclusivo o preminente nell’attività del giurista: prima di applicare metodi deduttivi il giurista deve identificare le premesse da cui muovere assegnando un significato ai documenti normativi e qualificando i fatti del caso concreto; queste operazioni fondano la possibilità di un’applicazione del metodo deduttivo, ma sfuggono allo stesso.
Altri autori sono andati più in là, affermando una radicale incompatibilità tra metodo deduttivo e ragionamento giuridico. La cosiddetta nuova retorica contrappone, infatti, al ragionamento logico-matematico, la retorica o l’argomentazione come specifiche “logiche” dei contesti morali e giuridici.

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E’ opportuno sottolineare che una risposta affermativa al problema della possibilità e dell’utilità di un’applicazione di metodi deduttivi condiziona lo sviluppo di applicazioni giuridiche dell’intelligenza artificiale; la formalizzazione, intesa come rappresentazione del diritto in un sistema assiomatico formale e quindi del tutto incontestabile, è un presupposto necessario dell’uso di metodi deduttivi. Se quei metodi e quel tipo di rappresentazione non possono essere applicati nel diritto, allora lo sviluppo di sistemi esperti giuridici, cioè di sistemi basati sostanzialmente sul paradigma del sistema deduttivo, è impossibile o inutile.
Configurando la formalizzazione come momento necessario della realizzazione di sistemi informatico-giuridici intelligenti, sembra escludersi che questi sistemi possano sostituire il giurista nell’aspetto più importante e peculiare del suo lavoro: l’interpretazione.
La rappresentazione del diritto, come un sistema deduttivo dal quale discende la soluzione di un caso determinato, non è il presupposto, ma il risultato dell’attività interpretativa del giurista. Più in particolare è il risultato dell’assegnazione di un significato a testi in linguaggio naturale e della qualificazione dei fatti da valutare.
La stessa rappresentazione del diritto come sistema assiomatico-formale presuppone necessariamente che l’interpretazione del testo normativo e la qualificazione dei fatti siano espresse in un linguaggio formale. Se un sistema informatico si limita a compiere operazioni deduttive, e queste nel diritto hanno un’importanza limitata, anche le tecniche dell’intelligenza artificiale sembrano destinate ad avere uno scarso impatto sul mondo del diritto.

Questa conclusione, tuttavia, è accettabile solo in parte.

Infatti:

a) Una volta formalizzato un contesto normativo, è possibile usare questa formalizzazione anche per risolvere un numero illimitato di futuri casi standardizzati, senza ripetere l’analisi che ha portato a quella rappresentazione formale: il sistema automatico può limitarsi a
compiere quelle operazione deduttive per le quali è stato già predisposto. Occorre precisare,però che l’applicazione di una formalizzazione astratta a nuovi casi impone controlli e cautele, la cieca deduzione delle conseguenze di tale formalizzazione, infatti, può condurre a risultati aberranti.

b) Strumenti automatici possono agevolare la preparazione di un modello deduttivo. Si tratta di strumenti per il trattamento del linguaggio naturale, per lo sviluppo di ragionamenti analogici, ecc.
E’ vero, però, che a tutt’oggi i metodi per l’analisi del linguaggio naturale e per il trattamento del ragionamento analogico non si sono rivelati concretamente utilizzabili in alcun sistema informatico-giuridico operativo. In prospettiva, quei metodi, considerati gli aspetti valutativi insiti nell’attività giuridica, possono consentire di realizzare sistemi che siano di ausilio al giurista, ma senza pretendere di sostituirlo.

c) L’uso di tecniche informatiche nella redazione dei testi normativi dovrebbe portare ad una legislazione più semplice e razionale, priva delle incertezze di significato dei testi giuridici oggi in vigore. Una legislazione adattata all’automazione dovrebbe facilitare il passaggio dal testo legislativo alla sua rappresentazione formale.

Ad oggi si avverte la necessità di AI essenzialmente per alcune attività quotidiane:

  • Ricerca ed analisi della giurisprudenza;
  • Creazione di statistiche avanzate per ciascun Foro, ufficio, Giudice e definizione della probabilità di vittoria;
  • Analisi delle proposte transattive, in ottica economica;
  • Generazione automatica della documentazione.

In conclusione,il giudice digitale non è una utopia, ma potrà valere, all’inizio, solo per determinate categorie di controversie: si pensi contestazioni a sanzioni proprie del codice della strada per sosta vietata, o situazioni analoghe. L’importante è che sia sempre prevista la possibilità di un riesame della decisione da parte dell’uomo.

 

Applicazioni nella professione legale.

Quali potrebbero essere gli sviluppi in ambito legale dell’AI?

Dipende da cosa si intende per professione legale. Alcune attività, in alcuni studi legali, sono già di dominio dell’intelligenza artificiale. Per effettuare ricerche giuridiche, ad esempio, alcuni studi utilizzano AI quali ROSS (http://www.rossintelligence.com/). L’analisi dei contratti è attività più complessa. Esistono alcune soluzioni, già disponibili, quali KIRA (https://kirasystems.com/).

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Nell’ottobre 2017 a Londra, 100 avvocati si sono impegnati, nella prima competizione avvocato Vs macchina, a battere CaseCruncher, un software sviluppato da un gruppo di studenti della Cambridge University. Risultato: CaseCruncer ha vinto con il 86.6% di accuratezza, contro 62.3%. Pare che il vincitore sia stato in grado di analizzare anche elementi non strettamente legali.

La“lawtech” sta mutando il volto dei grandi studi legali, in particolare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.

Una rivoluzione non meno esaltante di quella del fintech, o delle idee diventate enormi business come i motori di ricerca o i social media. Certo, il lawtech si muove in scala minore: nel 2016, secondo CB Insight, il valore delle acquisizioni di start up del settore ha toccato i 155 milioni di dollari. Ma basta spulciare tra le decine di startup che popolano il mondo del lawtech anglosassone – a volte finanziate da venture capital, spesso dalle stesse grandi law firms – per trovare intelligenze artificiali in grado di automatizzare i lavori routinari dell’ambito legale, oppure di setacciare i “big data” per preparare le cause o raccogliere informazioni di ogni tipo.

Partiamo per esempio dalla Silicon Valley, dove nel lontano 2006 nelle aule della Stanford University un docente quarantenne, Mark Lemley, iniziò a lavorare sul progetto di un software in grado di gestire le controversie legali sulla proprietà intellettuale. Da quell’idea nacque Lex Machina, software in grado di analizzare lo storico di migliaia di cause per individuare la miglior strategia processuale, rimpiazzando di fatto il lavoro umano routinario degli avvocati junior: a utilizzarlo non solo solo gli studi legali, ma anche società del calibro di eBay, Microsoft o Shire Pharmaceutical.

Nel 2016 un altro colosso legale, Allen & Overy, si è alleato con Deloitte per creare MarginMatrix, software che gestisce per conto delle banche i nuovi processi di compliance introdotti sul mercato dei derivati over-the-counter: l’intelligenza artificiale è in grado di redarre in tre minuti documenti che fino a ieri richiedevano tre ore di lavoro di un avvocato umano.

Sempre a Londra il colosso legale britannico Linklaters, presente con 29 uffici e oltre duemila avvocati in 20 Paesi del mondo, ha messo a punto assieme alla startup londinese Eigen Technologies un device chiamato LinkRFI: è un software che setaccia per conto di banche del calibro di Lloyds Banking o RBS i registri delle autorità di regolamentazione finanziaria europee per controllare migliaia di nominativi in tempo reale, e con grande accuratezza.

Nella capitale inglese è nata anche Ravn, un’intelligenza artificiale in grado di “leggere” migliaia di documenti in tempo reale organizzandone i contenuti secondo la chiave di analisi desiderata. Una ricerca hi-tech sartoriale, utilissima in studi legali in cui la massa di documenti continua a crescere. Oltre che law firms del calibro di Berwin Leighton Paisner, questo software viene utilizzato anche da società come Sky e Bloomberg.

A fronte della moltiplicazione dei robot, non fa quasi più notizia la stima di Deloitte Insight, che nel prossimo decennio prevede la scomparsa di oltre 110mila posti di lavoro nel settore legale (il 39% del totale). Ne verranno creati di nuovi, naturalmente, ma secondo Peter Saunders – uno degli analisti di Deloitte che ha scritto la ricerca in questione, “Developing legal talent” – il vero problema è che già oggi esiste un disallineamento tra le figure professionali formate nelle università e quelle (con curriculum più ad ampio respiro) di cui gli studi legali hanno effettivamente bisogno. Come nel resto del mondo del lavoro, anche in ambito legale i robot hanno gioco facile nel sostituire gli umani negli impieghi routinari.

 

 

 

 

 

 

 

 

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