Gli Antenati dei motori di ricerca e della SEO

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Gli antenati dei motori di ricerca


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Storia dei motori di ricerca e della SEO

Le origini.

Dopo l’ invenzione del World Wide Web nel 1989, nasce nel 1990 ALIWEB (Archie Like Indexing on the Web), il primo motore di ricerca della storia.


Verso metà degli anni 90 i primi motori di ricerca sono entrati nel mercato.E’ il periodo di LycosAltaVista e Yahoo! e viene usato per la prima volta il termine SEO (Search Engine Optimization) anche se molti webmaster avevano già iniziato a ottimizzare i siti senza saperlo.


Il 1997 vede sia la nascita di Google.

Siamo, pertanto, di fronte ad un evento, l’avvento del World Wide Web, relativamente giovane, ma che rappresenta una vera e propria rivoluzione sociale, la cui evoluzione ha galoppato con ritmi da progressione geometrica a crescita esponenziale.

Questo è un periodo  di vero e proprio  “Far West”, in cui tutto è consentito per portare un sito nelle agognate prime posizioni dei risultati.

Le tecniche per migliorare il posizionamento nei motori di ricerca si basavano esclusivamente sulla presenza di parole chiave nei contenuti che venivano scansionati dai crawler, o spider o bot, cioè quei potenti software che cercano nel Web tutte quelle pagine che abbiano informazioni attinenti rispetto a ciò per cui l’utente interroga il motore di ricerca in prima battuta.
Apparire, in quegli anni lì, risultava assai semplice. Era sufficiente, infatti, inserire un po’ di testo in modo strategico, magari nascosto, non visibile all’utente, testo bianco su sfondo bianco, tanto per farvi un esempio, per riuscire a catturare qualsiasi navigante del Web. Con la spiacevole conseguenza che non si riuscivano ad avere dei risultati veramente validi per le ricerche che gli utenti si ritrovavano a fare.

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È dal biennio 2003-2005 che si comincia a cambiare veramente rotta, quando Google inizia a rilasciare i suoi primi aggiornamenti che verranno seguiti, negli anni successivi, da altre release, sempre più numerose e specifiche. Ci si accorge che le strategie precedenti non solo non sono etiche e vìolano tutte le regole della correttezza, ma, soprattutto, non sono utili né lungimiranti.
Se io in Rete cerco come curare un raffreddore e mi ritrovo su un sito i scommesse , alla lunga perderò fiducia nel Web.  E la credibilità è qualità preziosa. Non solo su Internet.
La conseguente evoluzione dei motori che lasciano sempre meno spazio agli stratagemmi, costringe le varie modalità  di ottimizzazione  ad abbandonare le tecniche di “Black Hat” in favore delle tecniche “White Hat”.

Cosa si intende per White Hat SEO e Black Hat SEO?

La definizione  deriva dalla identificazione di due tipologie di  hacker: quelli che svolgono questa professione per truffare le persone e rubare dati sensibili da rivendere al miglior offerente, e quelli che invece forzano i server per evidenziare le falle e per notificarle ai proprietari. I secondi vengono appunto detti White Hat (cappello bianco), e si contrappongono naturalmente ai Black Hat (cappello nero).

Per la SEO funziona nello stesso identico modo: ci sono i marketer che sfruttano le falle degli algoritmi di Google per avere un ritorno economico, e quelli che invece utilizzano gli algoritmi senza infrangere alcuna regola, e solo per favorire il posizionamento di siti web congrui alle ricerche degli utenti.

La SEO White Hat

Il suo obiettivo è il medesimo di chiunque si occupi di web marketing. Ovvero cercare di studiare gli algoritmi di Google, soddisfare nel migliore dei modi i robots del motore di ricerca e raggiungere le prime posizioni all’interno della SERP, per ottenere visibilità e dunque maggiori possibilità di guadagno. Il tutto senza forzare tali algoritmi, o sfruttarli per andare contro alle regole di Google, fissate ovviamente per garantire agli utenti il massimo della qualità del servizio. In questo modo, chi fa White Hat SEO ha un ritorno economico e, al tempo stesso, favorisce la crescita di Google, proprio perché soddisfa i bisogni dei navigatori. Proprio come farebbe un hacker etico.

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La SEO Black Hat 

E’ l’insieme delle tecniche che i motori di ricerca disincentivano cercando di renderle inefficaci con gli aggiornamenti ai loro algoritmi; possono produrre delle impennate nei posizionamenti di un sito, ma quando vengono scoperte possono portare a pesanti penalizzazioni se non all’eliminazione del sito dall’intero indice di Google;

Ricordiamo  il caso del sito di BMW Germania nel 2006: Google scoprì l’utilizzo di pagine piene di centinaia di keyword nascoste per posizionarsi. La pratica fu classificata come Black Hat SEO e il sito di BMW fu immediatamente rimosso dall’indice.

Oppure il sito di Interflora, che nel 2013 è stato letteralmente cancellato  dalle pagine dei risultati con una penalizzazione di Google per l’acquisizione in massa di link a pagamento.

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