Elon Musk, l’ultimo dei sognatori

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Elon Musk e i Viaggi su Marte


Zip2, PayPal, SpaceX, Tesla, SolarCity. Leggendo questa lista si può intuire che Elon Musk è un tipo piuttosto attivo. Classe ’71, può vantare un curriculum da fare invidia a qualunque ingegnere e dirigente della Silicon Valley e, soprattutto, sembra possedere un tocco da Re Mida: qualsiasi cosa tocca, la trasforma in oro.

Indice

Il sogno di Elon

Per comprendere Elon Musk non si può che iniziare dal quartier generale di SpaceX, a Hawthorne, in California: un sobborgo di Los Angeles a pochi chilometri dall’aeroporto internazionale. I visitatori si imbattono in due giganteschi manifesti che ritraggono il pianeta Marte, appesi uno accanto all’altro sulla parete che porta alla scrivania di Musk. Il poster sulla sinistra raffigura Marte così com’è oggi: una sfera rossa, fredda e desolata. Il poster sulla destra mostra una gigantesca massa di terra verdeggiante circondata da oceani: il pianeta è stato riscaldato e modificato per adattarsi agli umani. Musk è fermamente intenzionato a tradurre in realtà quell’immagine. Trasformare gli umani in colonizzatori dello spazio è la missione dichiarata della sua vita.

«Alla mia morte vorrei lasciare il mondo pensando che l’umanità abbia un futuro luminoso», ha dichiarato.


«Se riusciamo a risolvere il problema dell’energia sostenibile e a imboccare la strada giusta per diventare una specie multiplanetaria costruendo una civiltà autosufficiente su un altro pianeta – per essere in grado di reagire allo scenario peggiore, in cui la coscienza umana dovesse estinguersi – allora…» , «penso che sarebbe molto bello.»

Se alcune affermazioni e azioni di Musk appaiono assurde, è perché in un certo senso lo sono.

La determinazione con cui Musk affronta missioni impossibili ha fatto di lui una divinità nella Silicon Valley, dove altri amministratori delegati come Page parlano di lui con un timore reverenziale e i giovani imprenditori si prefiggono di «essere come Elon», come negli anni passati si sforzavano di imitare Steve Jobs.

La Silicon Valley, tuttavia, opera sulla base di una versione distorta della realtà; e fuori dai suoi confini Musk appare spesso come una figura molto più controversa. È quel tizio delle auto elettriche, dei pannelli solari e dei razzi: quello che vende false speranze. Lasciamo stare i paragoni con Steve Jobs:

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Musk è una versione fantascientifica di P.T. Barnum, un uomo che è diventato straordinariamente ricco facendo leva sulle paure della gente e sull’odio delle persone per se stesse.

Comprate una Tesla e dimenticatevi per un po’ del male che avete fatto al pianeta.

Musk è un sognatore pieno di buone intenzioni, membro a pieno titolo del club dei tecno-utopisti della Silicon Valley, degli assolutisti dell’ingegneria che vedono nelle loro idee iper-razionali la Risposta giusta per tutti. Ma i tecno-utopisti tendono a stancare con le loro banalità: sono capaci di parlare per ore senza dire niente di concreto. Più sconcertante ancora è il messaggio di fondo se condo cui gli umani sono difettosi e la nostra umanità è un peso fastidioso di cui a tempo debito bisognerà sbarazzarsi. Fino a qualche anno fa, i discorsi ampollosi di Musk sembrano perfettamente in linea con quelli dei tecno-utopisti, e  le sue aziende, fondate per salvare il mondo, non sembravano neanche andare a gonfie vele.

Eppure, all’inizio del 2012, anche i  più cinici  hanno dovuto ammettere che Musk stava davvero combinando qualcosa di buono. Le sue aziende non erano più in crisi ma, anzi, stavano riscuotendo nuovi successi. SpaceX aveva inviato una capsula piena di forniture alla Stazione spaziale internazionale e l’aveva riportata sana e salva sulla Terra. Tesla Motors aveva presentato la Model S, un’elegante berlina elettrica che aveva mozzato il fiato all’industria automobilistica e assestato uno schiaffo in pieno volto a Detroit. Queste due imprese hanno sospinto Musk fino alle altezze rarefatte dei titani del business. Solo Steve Jobs poteva vantare successi simili in due settori così diversi, quando presentava un nuovo prodotto Apple e un film Pixar di successo nello stesso anno. Eppure Musk non aveva ancora finito. Era anche il presidente e il principale azionista di SolarCity, un’azienda in forte crescita che si occupava di energia solare e stava per quotarsi in borsa. Era riuscito, chissà come, a presentare contemporaneamente le innovazioni più radicali da decenni a quella parte nel settore aerospaziale, in quello automobilistico e in quello energetico.

Cos’è SpaceX, la creatura di Elon Musk per i viaggi nello spazio

La Space exploration technology corporation (chiamata, per semplicità, SpaceX) è una società con sede in California ideata a creata dal papà CEO di Tesla Elon Musk. Fondata nel 2002, SpaceX è una delle poche società private a fornire servizi di trasporto spaziale e nasce con l’obiettivo di ridurre i costi dei lanci spaziali e favorire la colonizzazione di Marte. Nei 13 anni di attività ha portato avanti diversi progetti e sviluppato alcuni vettori spaziali già lanciati in orbita: il Falcon 1 e il Falcon 9 sono i due moduli di lancio (progettati affinché possano essere riutilizzati) impiegati nei vari lanci effettuati sino ad oggi, mentre la navicella spaziale Dragon è la prima realizzata da una società privata ad aver mai raggiunto e rifornito la Stazione Spaziale Internazionale.

Nel tentativo di ridurre e contenere i costi di produzione e di lancio dei vettori spaziali, SpaceX progetta e realizza in-house gran parte delle componenti utilizzate nei suoi viaggi spaziali: a partire dai motori che offrono la propulsione necessaria per il lancio (Merlin, Kestrel e Draco) sino ad arrivare alle componenti interne dei Falcon e del Dragon, tutto (o quasi) è prodotto direttamente dalla società di Elon Musk. Questa politica produttiva, piuttosto inusuale per il settore, permette a SpaceX di abbattere i costi e poter effettuare lanci spaziali a prezzi tutto sommato contenuti.

SpaceX nasce nel giugno 2002 su iniziativa di Elon Musk: il giovanissimo fondatore di PayPal e Tesla è alla ricerca di un altro settore in cui investire i suoi capitali e tentare di innovarlo, come già fatto per i pagamenti online e le auto elettriche. Musk intravede nei viaggi spaziali uno dei settori con maggiori potenzialità di sviluppo tecnologico e commerciale: l’obiettivo è di realizzare (a basso costo di produzione e gestione) razzi e vettori che potessero essere utilizzati più volte. Nei primi quattro anni di attività, Elon Musk investe nella sua società spaziale ben 100 milioni di dollari, la gran parte dei quali in ricerca e sviluppo.

Dare corpo ad un sogno

Nel 2012, Musk decide di posizionare il quartier generale di SpaceX  a Hawthorne, una brutta zona della contea di Los Angeles in cui case diroccate, vecchi negozi e squallide tavole calde circondano enormi complessi industriali che sembrano partoriti da un movimento architettonico ispirato al Rettangolo della Noia.

Davvero Elon Musk aveva piazzato la sua azienda in quel postaccio?

Ma le cose iniziano ad acquistare senso quando si vede apparire all’orizzonte un parallelepipedo di cinquantamila metri quadrati, dipinto di un vistoso color bianco che porta il nome di «Unità di Corpo, Anima e Mente».

È l’edificio principale di SpaceX.

SpaceX

Solo dopo aver varcato la soglia di SpaceX poteva apparire chiara la grandezza di ciò che quest’uomo aveva realizzato. Aveva costruito una fabbrica di razzi in piena regola nel bel mezzo di Los Angeles. E quella fabbrica non produceva un razzo alla volta: no, ne produceva molti, e partendo da zero. Era un gigantesco open space. Verso il fondo c’erano enormi zone di scarico in cui arrivavano grandi lastre di metallo che venivano trasportate verso macchine saldatrici alte come un palazzo di due piani. Su un lato c’erano tecnici in camice bianco che producevano schede madri, radio e altri apparecchi elettronici. Altre persone erano chiuse in una speciale camera di vetro pressurizzata, dove costruivano le capsule che i razzi avrebbero inviato alla Stazione spaziale. Uomini tatuati con bandane in testa ascoltavano i Van Halen a tutto volume mentre collegavano fili elettrici ai motori.

Ed è solo l’edificio numero uno di Musk Land. SpaceX aveva comprato vari fabbricati che in passato avevano fatto parte di uno stabilimento di Boeing in cui venivano costruite le fusoliere dei 747. Uno di essi ha il tetto ricurvo e somiglia a un hangar: è il centro di ricerca, sviluppo e progettazione di Tesla. È qui che l’azienda ha ideato l’aspetto della berlina Model S e del suo successore, il Suv Model X. Nel parcheggio lì davanti Tesla ha costruito una delle sue stazioni di ricarica, dove gli automobilisti di Los Angeles possono fare gratuitamente il pieno di elettricità. È facile da trovare, perché Musk ha fatto installare un obelisco bianco e rosso con il logo di Tesla che sorge al centro di una piscina a sfioro.

Storia di Elon Musk

Era arrivato nella Silicon Valley intorno al 2000 e aveva trovato casa nel quartiere Tenderloin di San Francisco. È l’unica parte della città che la gente di quelle parti ti implora di evitare. Senza cercare troppo ci si può imbattere in persone che si tirano giù i pantaloni o incontrare un matto che prende a testate la pensilina alla fermata dell’autobus. rivelandosi un ottimo punto d’osservazione per la morte del sogno delle dot-com.

San Francisco ha una lunga tradizione di avidità. La città è nata con la corsa all’oro, e neppure un terremoto catastrofico ha potuto frenare a lungo l’inseguimento della ricchezza. Non lasciatevi ingannare dagli hippie: il ritmo di questo posto è scandito dallo scoppio delle bolle. E nel 2000 San Francisco era stata travolta dalla madre di tutti i boom e prosciugata dall’avidità. Era un gran bel momento per essere vivi, quando l’intera popolazione, o quasi, si era abbandonata alla stessa fantasia: una corsa folle ai soldi facili di Internet.

Oggi gli aneddoti sulla follia del business di quei tempi sono ben noti. Per fondare un’azienda di successo non era più necessario inventare un prodotto che la gente volesse comprare. Bastava avere un’idea vagamente legata a Internet e annunciarla al mondo perché gli investitori si precipitassero a finanziare l’ennesimo esperimento mentale. L’obiettivo ultimo era fare più soldi possibile nel più breve tempo possibile, perché tutti sapevano, almeno a livello inconscio, che prima o poi avrebbero dovuto fare i conti con la realtà.

Gli abitanti della Valley prendevano alla lettera il cliché del «lavorare sodo e divertirsi sodo». Ventenni, trentenni, quarantenni e cinquantenni erano tenuti a passare la notte in ufficio. Le scrivanie diventavano campeggi e l’igiene personale veniva abbandonata. Stranamente, serviva molto lavoro per trasformare il Nulla nella parvenza di Qualcosa. Ma quando arrivava il momento di rilassarsi, le occasioni non mancavano. Le aziende più alla moda e i grandi media dell’epoca sembravano fare a gara a chi organizzava la festa più lussuosa. Aziende della vecchia guardia che volevano mostrarsi al passo coi tempi noleggiavano spazi ai concerti e ci piazzavano ballerini e acrobati, un open bar e i Barenaked Ladies. Giovani programmatori accorrevano a bere whisky e cola gratis e a sniffare cocaina nei bagni chimici. Avidità ed egoismo erano gli unici moventi possibili.

A rigor di logica Musk avrebbe dovuto far parte del problema, non della soluzione.

Si era tuffato nella frenesia del dot-com nel 1995, quando, appena laureato, aveva fondato un’azienda di nome Zip2: una versione primitiva di Google Maps o Yelp. Quella prima impresa aveva riscosso molto successo molto in fretta ed era stata venduta a Compaq nel 1999 per 307 milioni di dollari. Musk aveva ricavato 22 milioni e li aveva riversati quasi tutti nell’impresa successiva, una startup che sarebbe diventata PayPal. Come principale azionista di PayPal, Musk era diventato ricchissimo quando, nel 2002, eBay aveva rilevato l’azienda per 1,5 miliardi di dollari.

Anziché restare nella Silicon Valley e piombare nella stessa depressione dei colleghi, Musk si era trasferito a Los Angeles. All’epoca si pensava che la cosa migliore da fare fosse trarre un respiro profondo e aspettare la successiva grande innovazione, che prima o poi sarebbe arrivata. Musk aveva smentito quella logica investendo 100 milioni di dollari in SpaceX, 70 milioni in Tesla e 10 milioni in Solar City. A meno di costruire una macchina tritasoldi, non avrebbe potuto trovare un modo più rapido per distruggere il suo patrimonio. Era diventato una società unipersonale di venture capital disposta a correre i rischi più irrazionali, e si era dedicato alla produzione di beni fisici ipercomplessi in due dei luoghi più costosi al mondo, Los Angeles e la Silicon Valley. Ogni volta che ne avevano la possibilità, le aziende di Musk creavano da zero i loro prodotti, stravolgendo tutte le prassi dei rispettivi settori: aerospaziale, automobilistico e solare.

Con SpaceX, Musk scende in battaglia contro i giganti del complesso militare-industriale americano, tra cui Lockheed Martin e Boeing. Combatte anche contro altre nazioni, in particolare Russia e Cina. SpaceX si è fatta un nome nel settore come fornitore low-cost, ma non è sufficiente per vincere. Il business dello spazio richiede di affrontare un groviglio di politica, scambi di favori e protezionismo che mina le fondamenta stesse del capitalismo. Steve Jobs ha dovuto vedersela con avversari analoghi quando si è messo contro l’industria discografica per portare sul mercato l’iPod e iTunes. Ma avere a che fare con i capricciosi luddisti del settore musicale era un piacere in confronto ai nemici di Musk, che di mestiere costruiscono armi e Paesi. SpaceX ha collaudato razzi riutilizzabili che possono portare carichi nello spazio e tornare sulla Terra, atterrando con precisione sulla rampa di lancio da cui sono partiti. Se l’azienda riuscirà a perfezionare questa tecnologia, assesterà un colpo devastante a tutti i competitor e quasi sicuramente farà fallire alcuni dei grandi nomi del settore aerospaziale, oltre a fare degli Stati Uniti il leader mondiale del trasporto di merce e passeggeri nello spazio. È una minaccia che, secondo Musk, gli ha fruttato molti nemici agguerriti. «La lista delle persone a cui non dispiacerebbe se io sparissi si sta allungando», ha detto. «La mia famiglia teme che i russi vogliano ammazzarmi.»

Con Tesla Motors, Musk ha cercato di innovare la produzione e la vendita delle auto, costruendo allo stesso tempo una rete mondiale di distribuzione del carburante. Al posto delle auto ibride, che nel gergo di Musk sono «compromessi subottimali», Tesla si prefigge di produrre auto totalmente elettriche capaci di affascinare i consumatori e di sondare i limiti della tecnologia. Non le vende attraverso una rete di concessionarie, ma online e nei suoi showroom in stile Apple all’interno di centri commerciali di lusso. Inoltre Tesla non prevede di guadagnare molto con la manutenzione dei suoi veicoli, dato che le auto elettriche non hanno bisogno dei cambi d’olio e di altre procedure necessarie per le auto tradizionali. Il modello di vendita diretta scelto da Tesla rappresenta un grande affronto per i concessionari abituati a trattare sul prezzo con i clienti e a trarre il loro profitto dalle esorbitanti spese di manutenzione. Le stazioni di ricarica Tesla sorgono ormai lungo le principali autostrade negli Stati Uniti, in Europa e in Asia, e possono fornire a un’auto centinaia di chilometri di autonomia in circa venti minuti. Questi cosiddetti «Supercharger» sono alimentati a energia solare, e i proprietari di auto Tesla non pagano nulla per il rifornimento.

Tesla

Mentre gran parte delle infrastrutture americane va deteriorandosi, Musk sta costruendo un avveniristico sistema di trasporti end-to-end che garantirebbe agli Stati Uniti il dominio del mercato mondiale. La visione di Musk, e negli ultimi tempi anche i risultati, sembrano unire il meglio di Henry Ford e John D. Rockefeller.

Con SolarCity, Musk ha finanziato la più grande azienda installatrice di pannelli solari per consumatori e aziende. Ha contribuito a sviluppare l’idea alla base di SolarCity ed è presidente dell’azienda, diretta dai suoi cugini Lyndon e Peter Rive. SolarCity è riuscita a battere sul prezzo decine di compagnie elettriche e a diventare a sua volta una grande utility. In un periodo in cui le aziende di cleantech fallivano con allarmante frequenza, Musk ha costruito due delle aziende di cleantech di maggior successo del mondo. Il suo impero di fabbriche, con decine di migliaia di operai, e la sua potenza industriale spaventano i leader del settore e hanno fatto di Musk uno degli uomini più ricchi del mondo, con un patrimonio netto che si aggira sui 10 miliardi di dollari.

Il progetto di «portare l’uomo su Marte» può suonare folle a qualcuno, ma ha fornito a Musk una piattaforma comune per le sue aziende. È il grande traguardo che rappresenta un principio unificante per tutte le sue iniziative. I dipendenti di tutte e tre le aziende lo sanno bene, e sanno che ogni giorno cercano di realizzare l’impossibile. Quando Musk fissa obiettivi irrealistici, quando insulta i dipendenti e li fa ammazzare di fatica, è chiaro a tutti che in ultima analisi lo fa per portarci su Marte. Alcuni dipendenti lo amano per questo. Altri lo detestano ma gli rimangono stranamente leali, perché rispettano la sua determinazione e la missione che si è dato.

È il genio invasato che si lancia nella missione più ambiziosa della storia dell’umanità.

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