Strategic planning: Cosa hanno in comune Elisabetta II e Lady Gaga?

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Strategic planning


‘Conoscere l’altro e se stessi – cento battaglie, senza rischi; non conoscere l’altro, e conoscere se stessi – a volte, vittoria; a volte, sconfitta; non conoscere l’altro, né se stessi– ogni battaglia è un rischio certo’.
Sun Tzu, L’arte della guerra

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Strategic planning

Strategic planning non è una nuova scienza, è un processo che il manager deve conoscere e saper applicare a ogni livello. Aiuta ad analizzare cosa si vuole fare e perché, verificandone la fattibilità, aiuta a capire come fare attraverso la pianificazione e, infine, aiuta a fare con successo, creando un percorso sul quale l’azienda può esprimere le sue capacità e le sue competenze di esecuzione.

  • La strategia si occupa del successo.
  • La «strategia» non è solo «pianificazione».
  • La strategia non è un programma dettagliato o un programma di istruzioni; è piuttosto un tema unificatore che conferisce coerenza e unicità di direzione alle azioni e alle decisioni di un individuo o di una organizzazione.

È compito della strategia, quindi, pianificare in che modo un’organizzazione o un individuo possono raggiungere i loro obbiettivi.
La strategia competitiva implica l’effettuazione di scelte:


  • Dove competere?
  • Come competere?

Le risposte a queste domande portano a definire i due principali livelli della strategia di impresa.

Non tutti i settori offrono le stesse opportunità: la scelta dei mercati nei quali competere, allocando adeguate risorse, è importante. Il secondo livello della strategia competitiva è relativo a quali competenze puntare per ottenere vantaggio competitivo all’interno di un settore o mercato.

Le due componenti fondamentali dell’analisi strategica sono: l’analisi dell’ambiente esterno all’impresa (soprattutto l’analisi settoriale) e l’analisi dell’ambiente interno (in primis l’analisi delle risorse e delle competenze dell’impresa).

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La strategia e il successo delle organizzazioni

Consideriamo, per esempio, le carriere di Elisabetta II d’Inghilterra e di Lady Gaga, persone che hanno avuto enorme successo nella guida delle proprie organizzazioni. Si può attribuire il successo di queste donne eccezionali, in campi così diversi tra loro, a qualche fattore comune?

Per nessuna delle due il successo può essere attribuito alla disponibilità di grandi quantità di risorse. Pur avendo status formale di capo di stato, Elisabetta II non ha molto potere effettivo e, il più delle volte, accetta le decisioni del governo britannico, che viene eletto democraticamente. Lady Gaga è sicuramente un’artista creativa e capace, ma pochi arriverebbero a sostenere che sia entrata nell’industria musicale grazie a un talento fuori dal comune come cantante, musicista o compositrice.

Non si può neanche attribuire il loro successo esclusivamente, o principalmente, alla fortuna. Entrambe hanno vissuto difficoltà e battute d’arresto in diverse fasi delle loro carriere. La chiave del loro successo è stata infatti l’abilità di reagire agli eventi – sia positivi sia negativi – con flessibilità e chiarezza di direzione.

Il tratto comune al regno di Elisabetta II, che dura da  settant’anni, e alla  folgorante carriera di Lady Gaga è la presenza di una strategia formulata con chiarezza e implementata in modo efficace. Nonostante queste strategie non siano mai esistite in forma di piani veri e propri, sia per Elisabetta II sia per Lady Gaga si può riconoscere una direzione coerente basata su obiettivi chiari e sulla capacità di piegare le circostanze al risultato desiderato.

La strategia di Elisabetta di Windsor quale regina del Regno Unito e dei paesi del Commonwealth può essere individuata nella relazione che questa ha instaurato tra sé e il suo popolo. Come regina ha voluto rappresentare la nazione, essere l’incarnazione della sua stabilità e continuità, simbolo della famiglia e della cultura britannica e un esempio di servizio e devozione alla causa.

L’eccezionale successo di Lady Gaga è frutto di una strategia di carriera in cui la musica è stata solo la porta d’ingresso per la celebrità, che si è costruita combinando i tipici ingredienti per creare una star – il valore dello shock, il primato nella moda, la presenza mediatica – con un’immagine unica e distintiva che ha conquistato l’attenzione e la fedeltà di adolescenti e giovani in tutto il mondo.

Che cosa dicono questi due esempi sulle caratteristiche di una strategia di successo? In entrambe le storie emergono quattro elementi comuni, esplicitati di seguito.

Obiettivi a lungo termine, chiari e coerenti: sia Elisabetta II sia Lady Gaga mostrano un lucido impegno nel raggiungimento di un ben preciso obiettivo che viene perseguito tenacemente.

Profonda comprensione dell’ambiente competitivo: il modo in cui entrambe definiscono il proprio ruolo rivela una piena e profonda comprensione dell’ambiente in cui si muovono. Elisabetta II ha prestato attenzione sia ai cambiamenti che coinvolgevano l’ambiente politico in cui si situa la monarchia, sia all’umore e ai bisogni del suo popolo. Il modello di business e il posizionamento strategico di Lady Gaga rivelano una grande consapevolezza dei cambiamenti economici che toccano il business della musica, delle opportunità di marketing offerte dai social network e dei bisogni della Generazione Y.

Valutazione obiettiva delle risorse: entrambe sono state abili nel valutare e utilizzare le risorse a disposizione e nel costruirle ulteriormente. Nel caso della regina Elisabetta II queste risorse includono la sua famiglia, la casa reale e il suo establishment più fedele; per Lady Gaga comprendono i talenti creativi della sua Haus of Gaga.

Implementazione efficace: la migliore delle strategie è di scarsa utilità se non è accompagnata da un’implementazione efficace. Decisiva per il successo di Elisabetta II e di Lady Gaga è l’efficacia nel coordinare e guidare ecosistemi di individui e organizzazioni di supporto.

 

Un’idea di impresa è una buona idea se ha, in sè le competenze e le esperienze per realizzarla,  una buona conoscenza del contesto in cui si sviluppa, è in grado di dare risposte concrete a esigenze del mercato non ancora soddisfatte e che quindi sfrutta un vantaggio competitivo che la concorrenza non è ancora in grado di offrire.

Queste osservazioni sul ruolo della strategia per avere successo sono valide per la maggior parte delle attività umane. Se si prendono in considerazione la guerra, gli scacchi, la politica, lo sport o l’attività d’impresa, si scopre che gli individui e le organizzazioni vincenti raramente sono il semplice risultato di un processo casuale. Generalmente, il fattore determinante non è nemmeno una superiorità iniziale in termini di capacità e di risorse possedute. A rivestire un ruolo significativo sono quasi sempre le strategie che si basano sui quattro elementi fondamentali appena visti.

Si guardino bene i «vincitori» in ogni area competitiva. Che siano leader politici mondiali, amministratori delegati delle 500 maggiori imprese secondo «Fortune» oppure amici o conoscenti, è evidente che chi ha raggiunto un notevole successo nella propria carriera raramente ci è riuscito perché possiede migliori e innate capacità. Il successo è andato a quelli che hanno portato avanti le proprie carriere nel modo più efficace, combinando i quattro fattori strategici descritti sopra. Queste persone sono concentrate sull’obiettivo; la carriera ha avuto la priorità sugli altri numerosi aspetti della vita, quali amicizia, amore, tempo libero, conoscenza, realizzazione spirituale, mentre la stragrande maggioranza delle persone passa buona parte del proprio tempo destreggiandosi tra di essi. Conoscono bene l’ambiente all’interno del quale si muovono e cercano di capire al volo qual è la chiave che consente un avanzamento di carriera o di raggiungere prima un obiettivo. Sanno riconoscere i propri punti di forza e di debolezza e attuano le loro strategie di carriera con impegno, costanza e determinazione.

La regina Elisabetta II e la Casa di Windsor

Proprio in questi giorni il regno di Elisabetta di Windsor ha compiuto 70 anni, diventando il più longevo fra tutti quelli che l’hanno preceduto.

Quando Elisabetta nacque, il 21 aprile del 1926, esistevano altri 45 paesi governati con una monarchia ereditaria. La presa degli ideali democratici e l’affermazione di principi moderni e riformisti hanno ridotto tale numero quasi della metà (26) a oggi. Nella maggior parte dei casi si tratta di piccoli paesi autocratici quali il Bahrein, il Qatar, l’Oman, il Kuwait, il Bhutan e il Lesotho. La monarchia è sopravvissuta in Danimarca, Svezia, Norvegia, Pesi Bassi e Belgio, ma le famiglie reali di questi paesi hanno perso buona parte delle proprie ricchezze, dei propri privilegi e delle proprie prerogative.

Al contrario, la famiglia reale inglese ha ancora un patrimonio considerevole – quello personale della regina è di circa 500 milioni di sterline – senza includere nella stima i 10 miliardi in palazzi e altri immobili di proprietà dello stato ma utilizzati dalla famiglia reale. Lo status formale della regina Elisabetta include il ruolo di capo di stato del Regno Unito e di altri 15 paesi del Commonwealth (compresi Canada e Australia), di capo della Chiesa d’Inghilterra e di comandante delle forze armate britanniche. Nessuna di queste cariche però le conferisce potere decisionale. La sua influenza le deriva quindi dal ruolo informale che si è ritagliata. Secondo il suo sito web, ella «ha un ruolo meno formale come capo di stato», mentre «agisce da epicentro di identità, unità e orgoglio nazionale; dà un senso di stabilità e continuità; riconosce ufficialmente il successo e l’eccellenza; e supporta l’idea di servizio volontario».

Come ha fatto la regina Elisabetta II a conservare non solo l’istituzione formale della monarchia ma anche il suo status, la sua influenza e la sua ricchezza, nonostante le numerose sfide che ha affrontato?

Queste includono sofferti cambiamenti politici e sociali, nonché le dure prove poste dal condurre una famiglia storicamente disfunzionale al ruolo, inclusi i matrimoni falliti di molti membri della casa reale e le polemiche che hanno accompagnato la vita e le circostanze della morte di sua nuora Diana, principessa del Galles.

Per Elisabetta II fondamentale per sostenere, spesso brillantemente, il fardello della corona è stata una ferma devozione verso quelli che lei considera doveri nei confronti della monarchia e della nazione. Nel ritagliarsi il ruolo di guida della nazione ha preservato la sua neutralità politica, anche quando si è trovata in disaccordo personale con le scelte del primo ministro (in particolare con le politiche di «divisione sociale» di Margaret Thatcher e con l’impegno militare di Tony Blair in Iraq e Afghanistan).

Nelle sue missioni estere ha sempre promosso la cultura e i valori britannici nel mondo ed è stata di frequente in visita in ciascuna delle 54 nazioni del Commonwealth, tra cui 27 volte in Canada e 16 in Australia.

La crescente ostilità nei confronti dei privilegi ereditari e del tradizionale sistema di classe inglese le ha richiesto un riposizionamento della famiglia reale da rappresentante della classe dirigente a incarnazione dell’intera nazione. Per rendere la sua immagine e la propria famiglia più inclusive e meno soggette a stereotipi si è avvicinata alla cultura popolare, alle persone comuni impegnate in servizi sociali e di beneficenza e, più recentemente, ha appoggiato i matrimoni dei suoi nipoti William e Harry, i primi membri della famiglia reale a prendere consorti fuori dai ranghi dell’aristocrazia.

Elisabetta II è stata abile nello sfruttare i nuovi mezzi di comunicazione per entrare in contatto sia con i suoi sudditi sia con il mondo intero: inizialmente attraverso la televisione e più di recente usando il web e i social network, come Twitter e Facebook. I suoi addetti stampa e alle pubbliche relazioni sono professionisti di primo livello che riferiscono direttamente al suo segretariato privato.

Pur rispettando tradizione e protocollo, Elisabetta è capace di adattarsi davanti all’incalzare delle circostanze. La morte della nuora Diana la mise al centro di una difficile tensione tra le responsabilità di madre e di nonna e il dovere di guidare una nazione in lutto. Per far fronte a quel momento di crisi riconobbe la necessità di distaccarsi da certe tradizioni consolidate.

Elisabetta II ha fatto un uso efficace delle risorse a disposizione, in primis il desiderio di continuità del popolo inglese e la sua innata sfiducia nei confronti dei leader politici. Tenendosi al di sopra delle baruffe politiche e dando risalto al proprio lignaggio – e ai ruoli pubblici della madre, dei figli e dei nipoti – ha rinforzato la propria legittimità, quella della sua famiglia e dell’istituzione che rappresenta. Ha anche sfruttato bene il potere di patrocinio, usando la propria posizione formale per coltivare relazioni informali con leader politici e culturali.

Il successo dei 70 anni di regno di Elisabetta è oggi indicato dal gradimento di cui godono lei stessa e l’istituto della monarchia: se si fa eccezione per l’Irlanda del Nord e il Québec, il repubblicanismo ha scarsa presa nel Commonwealth britannico.

Lady Gaga e la Haus Of Gaga

Stefani Joanne Angelina Germanotta, in arte Lady Gaga, è uno dei più grandi personaggi dello spettacolo del XXI secolo. Sin dal suo primo, The  Fame del 2008, ciascuno dei suoi quattro album si è posizionato in cima alla classifica di «Billboard». Inoltre, nel 2011 Lady Gaga si è piazzata al primo posto nell’elenco delle prime 100 celebrità di «Forbes», mentre la vendita dei biglietti per assistere alle date dei concerti dei suoi cinque tour mondiali intrapresi tra il 2009 e il 20017 ha generato un controvalore di 560 milioni di dollari.

Dopo aver lasciato la Tisch School of Arts della New York University nel 2005, Germanotta ha mostrato un impegno totale nel perseguire la propria carriera musicale, prima come autrice di canzoni e poi sviluppando il personaggio di Lady Gaga.

La sua musica è un attraente mix di pop e dance music, ben confezionata per le discoteche e per la radio. Lady Gaga ha una bella voce, le sue canzoni hanno melodie piacevoli, con testi in cui si trovano riflessioni sulla vita e sulla società, sebbene sia evidente che in tutto ciò non vi sia nulla di innovativo o di eccezionale: il critico musicale Simon Reynolds ha descritto la musica di Lady Gaga con queste parole: «Spietatamente orecchiabile, pop provocatorio reso più glam da una smaltata di Auto-Tune e sostenuto da ritmi R&B».

La musica è però solo uno degli elementi del fenomeno Lady Gaga. Il suo successo non deriva tanto dall’essere una buona cantante o compositrice quanto dall’aver creato un personaggio che trascende la musica. Come David Bowie e Madonna prima di lei, Lady Gaga è famosa in quanto Lady Gaga. Per arrivare a ciò ha sfruttato mezzi di comunicazione multipli, combinandoli con elementi quali musica, sensazionalismo visivo, eventi memorabili, un’attitudine e una personalità peculiari e un insieme di valori nei quali i fan possano identificarsi.

Un fattore centrale è costituito dall’impatto visivo e dalla teatralità del personaggio. Le sue canzoni di maggior successo sono state promosse grazie a videoclip visivamente sbalorditivi che hanno vinto Grammies e infranto record di visualizzazioni su YouTube. Ma il tratto più sconcertante è nell’abbigliamento e nell’aspetto, al punto da fissare nuovi standard in termini di eccentricità, innovazione e stile. Le sue provocatorie mise – dal vestito di plastica a bolle o con un cadavere senza testa all’abito di carne – insieme a stravaganti acconciature e ad ancor più bizzarri copricapo e a dir poco inconsuete calzature sono conosciuti tanto quanto le sue canzoni. Il campionario di immagini che è capace di proiettare è talmente vario da suscitare sempre grandi aspettative su quale potrà essere la sua prossima incarnazione.

Lady Gaga è riuscita a sviluppare un modello di business perfettamente adattato al mondo dello spettacolo dell’era digitale. Ha adottato un modello simile a quello di Facebook e Twitter nel web 2.0: prima costruire la propria presenza sul mercato, poi pensare a come monetizzarla. Nel 2012 l’insieme delle sue visualizzazioni su YouTube, i like su Facebook e i follower su Twitter l’hanno resa secondo Famecount.com «il musicista vivente più popolare online». Per interagire con i fan usa anche Gagaville, un gioco interattivo sviluppato da Zynga in collaborazione con Backplane, una start-up del settore della social music, manco a dirlo di sua proprietà.

L’enfasi sull’immaginario visivo si riflette nel modo in cui la sua popolarità è convertita in guadagni. Nonostante le royalties siano importanti, la sua principale fonte di ricavi sono i concerti. Tante altre fonti – sponsorizzazioni, product placement in video e concerti, merchandising e apparizioni sui media – sono comunque legate alla sua immagine.

Un aspetto distintivo del posizionamento sul mercato di Gaga è il suo rapporto con i fan. La devozione dei fan – i suoi «piccoli mostri» – poggia più sull’empatia con i suoi valori e i suoi atteggiamenti che sul desiderio di emularla. L’immaginario visivo di Gaga rappresenta un’affermazione di anticonformismo sociale e non un atteggiamento modaiolo. Raccontando le sue esperienze di alienazione e violenza subite a scuola, e proclamando i valori dell’individualismo, della libertà sessuale e dell’accettazione delle differenze, ha costruito una base di fan sorprendentemente fedele e appassionata. Il senso di appartenenza che lega Lady Gaga ai suoi fan è poi rimarcato da gesti e simboli quali il saluto Monster Claw e il Manifesto dei piccoli mostri. In qualità di «madre mostro» Gaga è portavoce e guru di questa comunità.

La presenza scenica e la teatralità di Lady Gaga sono supportate dalla Haus of Gaga, un laboratorio creativo ispirato alla Factory di Andy Warhol. Questo laboratorio comprende un direttore artistico che coordina un team di coreografi, stilisti, hair-stylist, fotografi, designer, cantautori, musicisti e professionisti del marketing.

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