La singolar tenzone …dell’equazione ( di 45° grado)

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Dio ha creato i numeri interi; tutto il resto e’ lavoro dell’Uomo.

L. Kronecker, matematico tedesco

Il momento della storia è finalmente arrivato!
Stiamo per recarci, almeno con la mente, nel XVI secolo.

La sfida di Adriaan van Roomen (1561-1615), detto anche Romanus

Alla fine del ‘500 si sviluppò un notevole interesse, da parte dei matematici, per la trigonometria.
Ad evidenziare tale fatto concorre una sfida proposta dal matematico belga Adriaan van Roomen (1561-1615), detto anche Romanus, il quale aveva appunto sfidato tutti i matematici dell’epoca a risolvere l’equazione di 45° grado, che troverete sotto. L’ambasciatore dei Paesi Bassi presso la corte di Enrico IV asserì, con toni superbi, che la Francia non possedeva nessun matematico in grado di risolvere la spinosa questione sollevata dal suo connazionale.  Nella sua opera citata dall’incauto ambasciatore, infatti, proponeva un problema in grado di spaventare chiunque ancora oggi, almeno a prima vista:
si tratta di un’equazione di quarantacinquesimo (sic) grado della forma polinomiale P(x)=λP(x). Di fatto, si tratta dell’equazione che esprime la lunghezza della corda della quarantacinquesima parte di un angolo.
Il tutto, ovviamente, espresso nella forma elaborata e retorica in uso a quei tempi (ne avete avuto un esempio nella citazione posta in testa a quest’articolo). A volerlo scrivere in notazione moderna, il problema di Adriaan van Roomen avrebbe questa forma:


Adriano Romano era ben orgoglioso del suo problema, e infatti nel suo libro sfidava tutti i matematici d’Europa a risolverlo: anzi, per meglio indirizzare la sfida, si era preso anche la briga di elencare tutti i più famosi matematici del tempo, rendendo così, in un certo senso, la sfida personale e nominale.
Va detto che le sfide pubbliche erano, a quei tempi, pane quotidiano per tutti coloro che ambivano ad essere considerati dei matematici professionisti: basti ricordare quel che era accaduto, giusto mezzo secolo prima, dalla nostra parte delle Alpi a proposito della risoluzione della cubica da parte di Tartaglia, Cardano, Ferrari e Scipione del Ferro. Se quindi non era certo infamante sfidare altri a risolvere problemi matematici, per quanto complessi e arzigogolati potessero essere, poteva certo invece risultare imbarazzante per un sovrano sentirsi dire che nessun suo suddito meritasse di essere elencato tra i matematici migliori del continente.
Per questo, verosimilmente, la faccia di Enrico IV deve aver assunto un’espressione quanto mai significativa, dopo che l’ambasciatore olandese gli ha palesato l’assenza di nomi francesi nell’elenco puntigliosamente compilato da Adriaan van Roomen. La tradizione aneddotica vuole però che il re navarro non abbia dato in escandescenze, anzi: sorridendo con regale sufficienza al povero diplomatico, Enrico IV avrebbe prontamente affermato che quel catalogo non poteva essere certo esatto, perché lui stesso conosceva un uomo eccezionale, un figlio di Francia dalle straordinarie capacità matematiche. E, sapendolo presente proprio presso la corte lì a Fontainebleau, non esitò ad ordinare: “Fatelo venire subito! E lei, ambasciatore, si procuri quel libro del Romain, che si possa vedere questo famoso problema!”
Sia il libro sia il gentiluomo francese apprezzato dal re giungono presto: e mentre il sovrano e il diplomatico ancora discorrono, il misterioso personaggio, anche se è assente da ogni lista di matematici d’eccellenza, trova al volo due soluzioni al quesito, mentre ancora esamina il problema nel corridoio dell’anticamera e prima che il re torni a chiedergli cosa ne pensi. Più tardi, in serata, ne trova già altre, e provvede ad inviarle al povero ambasciatore.

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Chi è François Viète

Il campione di Enrico IV è François Viète. Nasce a Fontenay-le-Comte, in Vandea, in qualche giorno del 1540.

Viète si rese conto che tale complessa equazione rappresentava una di quelle che nascevano quando si voleva esprimere

C = sin 45 θ in termini di x = 2 sin θ, riuscendo a rinvenire subito le radici positive, ovvero le soluzioni dell’equazione.

Viète è figlio di Etienne, avvocato, e da bravo figlio di professionista borghese, si predispone a seguire le orme del padre. Si laurea in legge a Poitiers a vent’anni, nel 1560, e comincia ad esercitare l’avvocatura.
Come talvolta accade ai giovani laureati, nel giro di pochi anni François si accorge che la carriera per la quale ha studiato non è quella che realmente desidera: smette allora di frequentare le aule dei tribunali e cambia vita, dedicandosi… alla politica.
Inizia a fare il segretario di Antoinette d’Aubeterre, gran nobildonna di corte, di parte ugonotta, che presto lo incarica di fare da precettore a sua figlia; questa è Catherine de Parthenay, che diverrà una delle donne più famose del suo tempo per le sue capacità intellettuali: umanista, intellettuale, poliglotta, dotata per la matematica e le scienze.
Viète fa rapidamente carriera: entra in Parlamento nel 1571, e nel 1576 si ritrova direttamente al servizio di Enrico di Navarra. A quarant’anni, nel 1580, è ormai consigliere speciale di quello che diverrà il successivo sovrano, appunto Enrico di Navarra, con un incarico del tutto speciale: quello di decrittare i messaggi cifrati dei nemici di sempre, gli spagnoli.
L’abilità di François in questa sua mansione è stupefacente, la chiave di cifratura è basata su cinquecento caratteri, ma non resiste ai metodi di scardinamento di Viète: è in fondo comprensibile che, in epoca di caccia alle streghe e di Controriforma, i cattolicissimi figli di Spagna siano giunti ad accusare l’infame ugonotto di aver stretto un patto con il diavolo.

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Nel decennio compreso tra il 1580 e il 1590 le pressioni esercitate dalla Lega Cattolica contro gli ugonotti sono tali da riuscire a mettere in ombra la carriera politica di Viète, che tornerà in auge solo verso il 1594, quando finalmente rientrerà alla corte del suo vecchio protettore, ormai divenuto sovrano di Francia.

È verosimile che il maggior contributo di Viète alla matematica non sia riducibile alla scoperta di teoremi o dimostrazioni, per quanto le sue opere non siano certo prive di scoperte di rilievo: piuttosto è l’introduzione di un nuovo metodo di scrittura e di notazione che Viète introduce e che poi, grazie soprattutto ad Harriot, si dimostrerà estremamente utile per il progresso di tutta la matematica. È infatti Viète che, tra le altre cose, suggerisce di utilizzare le prime lettere dell’alfabeto per indicare le quantità costanti e riservare le ultime alle variabili, contribuendo così a rendere la “x” la lettera indubbiamente più evocativa di tutta la storia della matematica. Può sembrare un contributo da poco, se non ci si pone sufficiente attenzione, ma in realtà si tratta di qualcosa di rivoluzionario: nel trattare le grandezze con “nomi” e termini verbosi, non risultava evidente la possibilità di operare algebricamente su di esse. In altri termini, se adesso semplifichiamo due x nei due membri di un’equazione senza neanche pensarci un istante, è per merito di François Viète: prima di lui, non ci aveva pensato di fatto nessuno.

François Viète ed il suo contributo al calcolo di π

“Si eidem circulo inscribantur polygona ordinata in infinitum, &
numerus laterum primi sit ad numerum laterum secundi
subduplus, ad numerum vero laterum tertii subquadruplus, quarti
suboctuplus, quinti subsexdecuplus, & ea de inceps continua
ratione subdupla.
Erit polygonum primum ad tertium, sicut planum sub apotomis
laterum polygoni primi & secundi ad quadratum a diametro.
Ad quartum vero, sicut solidum sub apotomis laterum primi
secundi & tertii polygoni ad cubum a diametro.
Ad quintum, sicut plano-planum sub apotomis laterum primi
secundi tertii & quarti ad quadrato-quadratum a diametro.
Ad sextum, sicut plano-folidum sub apotomis laterum primi
secondi tertii quarti & quinti polygoni ad quadrato-cubum a
diametro.
Ad septimum, sicut solido-solidum sub apotomis laterum primi
secundi tertii quarti quinti & sexti polygoni ad cubo-cubum a
diametro.
Et eo in infinitum continuo progressu.”

(Isagoge in artem analyticam, Propositio II)

Le capacità matematiche di Viète sono eccezionalmente profonde: il paragrafo posto qui sopra, la Proposizione II del suo capolavoro, non si limita a cercare di calcolare qualche decimale in più del valore di pi greco, ma apre le porta di questa ricerca verso l’infinito: con una costruzione geometrica che, partendo da un quadrato inscritto in un cerchio ricava al suo interno un ottagono regolare, ripete il processo “in infinitum continuo progressu”.

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È forse il primo momento in cui si capisce che pi greco non è un numero realmente conoscibile, che ha la sua estensione nascosta nelle pieghe dell’infinito.

Buon Pi Greco Day!

 

 

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