“Il Ventinove”: nascita della teoria keynesiana

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nascita della teoria keynesiana


“Contro la stupidità anche gli dei sono impotenti. Ci vorrebbe il Signore. Ma dovrebbe scendere lui di persona, non mandare il Figlio. Non è il momento dei bambini.”

JOHN MAYNARD KEYNES

Le dimensioni reali del crollo di Wall Street e la durezza degli anni successivi probabilmente sfuggono a noi contemporanei: siamo abituati a pensare che persino le crisi più violente, anche quando hanno conseguenze considerevoli sulle persone e su intere economie, non portino alla fame e alla povertà più nera. I sistemi sociali hanno ormai da tempo introdotto dei modi per garantire almeno l’indispensabile a coloro che vengono colpiti da eventi quali i licenziamenti e la disoccupazione di lunga durata.
Ma queste misure erano pressoché assenti negli anni Venti del Novecento: chi perdeva il lavoro era letteralmente condannato alla fame. Nella migliore delle ipotesi poteva contare sugli enti caritatevoli (ben conosciuto è il caso del Salvation Army negli USA), ma in ogni caso finiva inghiottito in un buco nero di miseria e disperazione.
La depressione si tradurrà in una crescita vertiginosa dei disoccupati e solo alla fine degli anni Trenta il livello ritornerà a essere accettabile. Una curiosità: l’Italia venne sostanzialmente risparmiata dagli effetti del crollo del Ventinove. Questo perché l’economia italiana era poco
integrata con quella di altri Paesi e quindi gli effetti della crisi furono molto attenuati.
Storici ed economisti concordano: la Grande Depressione seguita al Ventinove, che durerà sino alla fine degli anni Trenta del Novecento è stata uno degli eventi determinanti della storia, almeno per quanto riguarda gli USA e l’Europa.

WALL STREET (NEW YORK CITY, USA),
OTTOBRE 1929

In effetti, la crisi inizia, almeno “ufficialmente” con il crollo della Borsa di Wall Street nell’ottobre del 1929: New York, insieme a Londra, era
già allora la più importante piazza finanziaria del mondo. In poco tempo il crollo contagia innanzitutto gli altri mercati finanziari e poi rimbalza sui mercati reali, distruggendo milioni di posti di lavoro e riducendo in modo drastico i redditi personali. Probabilmente la caduta della borsa prima e la successiva depressione furono alla base dell’avvento al potere di Hitler in Germania nel 1933, mentre le spinte protezionistiche messe in atto in molti Paesi durante gli anni Trenta nell’illusione di difendersi dagli effetti
disastrosi della crisi provocarono quelle tensioni che poi sfociarono nel dramma della Seconda guerra mondiale.
Anche sul piano teorico gli eventi che iniziarono nell’ottobre del 1929 e terminarono grosso modo con l’invasione tedesca della Polonia, azione che darà l’avvio alla guerra, ebbero un impatto gigantesco.


Tutto ebbe inizio nella seconda metà del 1929, in agosto, con una debole flessione della produzione industriale statunitense: niente di drammatico in sé, quasi un fatto congiunturale, ma, allarmando i mercati finanziari, accese la miccia che avrebbe portato al crollo dei titoli due mesi dopo.
Se tutto si fosse limitato a una drastica diminuzione del valore del mercato azionario, per quanto drammatica potesse essere, non ci troveremmo oggi a parlare di Grande Depressione.
Ma a renderla un disastro dalle dimensioni gigantesche furono l’aumento catastrofico della disoccupazione e la fortissima riduzione della produzione industriale, entrambe conseguenze del crollo in borsa: prima del crollo gli USA avevano un tasso di disoccupazione inferiore al 4%; quattro anni dopo, tra il 1933 e il 1934 la percentuale di lavoratori disoccupati era intorno al 25%! E non andava meglio ad altre economie, in particolar modo quella inglese che, sebbene con un certo ritardo, registrò tassi analoghi.
Anche la produzione industriale si ridusse: tra il 1929 e il 1933 il PIL, cioè il valore monetario della produzione di beni e servizi, diminuì all’incirca del 30%, ricominciando poi a salire lentamente; ma solo alla vigilia della Seconda guerra mondiale l’economia USA tornerà ai livelli precedenti la crisi economica. Una botta di quelle forti!
In effetti, sarebbe trascorso molto tempo prima che l’economia mondiale si riprendesse dal k.o.
Per esempio nel 1939, dopo un decennio di interventi pubblici di pur grande incidenza, la disoccupazione negli USA era ancora attestata intorno a un drammatico 17%. Solo nel 1941, alla vigilia dell’entrata in guerra dopo Pearl Harbor, e quando gli USA già alimentavano con la loro industria militare i Paesi impegnati nella guerra contro Hitler, la disoccupazione scese al di sotto del 10%, per diminuire ancora negli anni successivi fino a tornare a valori ante-crisi.

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Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta

Nel pieno della depressione, nel 1936, Keynes pubblicò la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, il libro che viene considerato come l’atto di nascita della macroeconomia e che darà al suo autore una fama mondiale.

Se volete avere una motivazione per continuare a studiare macroeconomia, sappiate che forse questa scienza nasce proprio con lo scopo di evitare che si potessero ripetere eventi drammatici come la Grande Depressione. Alla luce delle ulteriori crisi scoppiate successivamente, di cui tuttora viviamo le conseguenze, probabilmente riterrete che la macroeconomia non sia stata poi così efficace: potreste non avere tutti i torti, ma considerate che essa ha fornito indicazioni utili non solo per uscire dalla depressione degli anni Trenta, ma anche per garantire i progressi economici dei decenni successivi.

Mentre la tempesta infuriava, Keynes si dava da fare pubblicando, quindi,  un’opera che si collocava al posto giusto al momento giusto: Keynes ipotizzava che solo l’intervento dello Stato nell’economia attraverso forti iniezioni di spesa pubblica potesse far ripartire il sistema,fino a quel momento incepato in un circolo vizioso per cui la recessione alimentava se stessa.
Fu a questo proposito che Keynes enunciò un paradosso che ha contribuito ad alimentare le critiche dei suoi avversari, ma anche a rendere immediatamente comprensibile l’essenza del suo ragionamento: in tempi di crisi occorre assumere i lavoratori per fargli scavare delle buche e poi fargliele riempire. Un’attività apparentemente priva di senso, ma che serve a fornire loro un salario che consentirà a sua volta di far ripartire i consumi.

Macroeconomia

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