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Il bullismo


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Il bullismo

Il termine bullismo deriva dalla traslitterazione della parola inglese bullying, (to bull) che significa “usare prepotenza, maltrattare, intimidire, intimorire”. Il bullismo è una forma di comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, di natura sia fisica che psicologica, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate come bersagli deboli e incapaci di difendersi.

 

Il bullismo è un fenomeno complesso e composito, che accompagna la storia dell’uomo forse da sempre; se ne trovano tracce in biografie e autobiografie di diversi personaggi, così come nella letteratura, classica e moderna, di ogni parte del mondo.
Proprio perché è così radicato nella storia, nelle società e nelle culture umane, il bullismo si evolve con queste, al punto da prendere diversi nomi: è il caso, per esempio, del cyber-bullismo; un caso abbastanza nuovo, manifesto di una realtà tecnologica come la nostra, una realtà nuova e in continua mutazione, tanto che ancora il cyber-bullismo resta un fenomeno poco inquadrato e conosciuto, che non si sa come prendere, come affrontare.

Abbiamo detto che  termine bullismo deriva dall’inglese bullying, di cui è la traduzione letterale, ma non è l’unico termine utilizzato: il nord Europa usa parole (mobbing, mobbning) che derivano dall’inglese mob, termine, usato per la prima volta in questo senso da Heinemann nel 1972, che si riferisce a molestie messe in atto, generalmente, da un gruppo di persone, ma che può essere utilizzato anche nel caso le molestie siano opera di un singolo.
I tentativi di trovare una definizione al bullismo sono stati numerosi, a partire da quelli di Olweus, pioniere negli studi sul bullismo. Olweus dà una prima definizione, nel 1986: “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni”. Stephenson e Smith  invece, lo definiscono come “un’interazione in cui un individuo o un gruppo di individui più dominanti causano intenzionalmente sofferenze a un individuo o a un gruppo di individui meno dominanti”.
Già da queste due sole definizioni si possono individuare le caratteristiche che rendono tale un’azione di bullismo, differenziandola da quello che può essere uno scherzo o un dispetto occasionale. Queste caratteristiche sono tre, ovvero:
– l’intenzionalità: il bullo, o il gruppo di bulli, mette intenzionalmente in atto dei comportamenti (di vario genere: fisici, verbali, psicologici) che hanno come conseguenza quella di fare del male, offendere, recar danno o disagio alla vittima;


– la sistematicità, o persistenza: il bullismo è protratto nel tempo, ripetuto, non è un episodio unico, isolato;


– l’asimmetria: le forze in campo sono in disequilibrio, per numero (un gruppo contro una vittima sola), per età (un alunno più grande contro uno più piccolo), per carisma o potere (un alunno popolare contro uno isolato).

– vede i ruoli di “bullo” e “vittima” fissati rigidamente, cristallizzati nel tempo: il bullo o i bulli sono sempre gli stessi, così come sono sempre gli stessi individui a essere perseguitati. Questa rigidità intrappola il soggetto in una categoria, il che in età evolutiva rischia di creare problemi nella costruzione di un’identità completa e articolata.

– implica l’appoggio di complici: questi possono essere testimoni a favore del bullo, effettive spalle/aiutanti del bullo, oppure possono isolare la vittima, lasciandola sola davanti agli attacchi;

– determina nella vittima paura o incapacità a difendersi o a riferire l’accaduto: questo può avvenire per paura di ritorsioni, per la sensazione che sarebbe inutile, per pressioni da parte dei coetanei, per orgoglio o anche a causa del comportamento dell’adulto, che si disinteressa al problema bullismo trasmettendo così la passività;

– determina anche negli spettatori l’incapacità a reagire, intervenendo direttamente o segnalando l’accaduto: le motivazioni di questo comportamento sono sostanzialmente le stesse che portano alla mancanza di reazione della vittima;

– crea deumanizzazione della vittima: in questo modo, vengono eliminati tutti i sensi di colpa nei bulli, nei loro complici e in tutti gli spettatori. La vittima stessa finisce per avere un tale crollo nell’autostima da ritenersi colpevole, mentre gli spettatori si convinceranno che il bullo è stato provocato, e che la vittima in qualche modo si meriti quello che riceve.

Cosa non è il bullismo: miti da sfatare.

Parlando di bullismo vengono spesso poste osservazioni o obiezioni che si è dimostrato non avere alcun fondamento, potendosi quindi ascrivere alla categorie “miti e leggende”.

Ecco dunque una breve rassegna dei miti sul tema più comuni:

È solo una ragazzata. Non lo è. Una ragazzata, uno scherzo, non vede ruoli  cristallizzati, non è premeditata, e non vede sbilanciamenti di potere, né tra un soggetto più forte e uno meno, né tra un gruppo e un singolo. Difendere il bullismo in questi termini significa essere condiscendenti, accettarlo, in ultima analisi: essere parte del problema.
Serve per diventare più forti/imparare a difendersi. In realtà, le ricerche dimostrano proprio il contrario: le vittime di bullismo sono spesso più fragili, in quanto logorate emotivamente e psicologicamente. Le conseguenze del bullismo possono essere molto gravi, arrivando a comprendere ansia generalizzata, ansia sociale, depressione, fino ad arrivare al sucidio.
La vittima se l’è cercata. Spesso si assiste a un ribaltamento della situazione, in cui è la vittima a doversi giustificare – e altrettanto spesso capita che non trovi nessuno disposto a testimoniare a suo favore, per tutti i motivi già visti in precedenza. Al di là di questo, può capitare che la vittima mostri dei comportamenti che possono provocare l’intervento del bullo, ma questa non è una giustificazione né una scusante; semmai, l’adulto può prendere atto di questa situazione per reagire trasmettendo alla vittima abilità di autocontrollo che permettano di evitare il ripetersi di episodi problematici.
– La vittima deve imparare a difendersi da sola. Non solo questo è spesso difficilmente attuabile a causa del carattere della vittima, in buona parte dei casi timida, impacciata, troppo impaurita, ma anche quando è possibile portare una vittima a difendersi da sé, il bullo ne troverà un’altra subito dopo. Per di più, combattere forme di aggressione suggerendo di aggredire è un po’ un controsenso!
Basta che la vittima ignori i bulli e gli attacchi cesseranno. Non solo spesso non è possibile attuare un suggerimento del genere – i bulli sono generalmente molto bravi a evitare di venire ignorati – ma potrebbe addirittura peggiorare la situazione: il messaggio che potrebbe passare, infatti, finirebbe per essere “tormentami pure, io non reagirò”. E non è decisamente quello che ci serve.
Il bullo è fisicamente forte e aggressivo. Come già detto, il bullismo non è solo fisico, e lo squilibrio di forze in campo può essere su altri livelli.

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Il bullo proviene da famiglie e condizioni socio-economiche disagiate. Questo è un altro stereotipo: l’aggressore può avere qualsiasi tipo di background.
Il bullismo non è presente in questa realtà specifica, è un problema altrui. Il bullismo non ha contesti sociali predefiniti o favoriti, ma può presentarsi in qualunque situazione, in qualsiasi ordine di scuola e in centri abitativi di qualsiasi grandezza.
Inoltre, un’altra categorie di eventi che non sono bullismo sono le aggressioni fisiche violente, in cui sono implicate armi e quelle a sfondo sessuale: tutto questo rientra nella criminalità vera e propria, ed è fuorviante e sminuente chiamare queste cose “bullismo”.

I protagonisti del bullismo: bulli, vittime, spettatori

Sono sei le figure identificate come protagoniste del fenomeno del bullismo, ovvero:
– il bullo: colui che attua la prevaricazione;
– la spalla del bullo, il suo aiutante, che non svolge un ruolo primario;
– il gregario, o sostenitore del bullo: sostiene in modo indiretto il comportamento del  bullo, per esempio tramite incitamento o approvazione;
– la vittima;
– il difensore della vittima;
– lo spettatore esterno, che non prende posizione.

Dove e quando

Uno degli scopi del bullo, quando è organizzato, è quello di evitare lo sguardo dell’adulto; per questo motivo, i luoghi e i momenti più a rischio sono sicuramente quelli in cui la sorveglianza si allenta: il giardino, i bagni, gli spogliatoi, i corridoi, il tragitto tra casa e scuola, mentre è solo una piccolissima parte degli episodi (meno di un decimo) ad avere luogo in classe. A richiedere attenzione, in questi dati, è il fatto che il bullismo non si ferma all’ambiente scolastico, ma prosegue al suo esterno. Tutto questo dovrebbe suggerire, una volta di più, che non è mai il caso di escludere la possibilità che la propria scuola sia interessata dal fenomeno, perché questo è spesso sommerso e invisibile.

Incidenza

Eurispes e Telefono Azzurro si sono interessati ripetutamente al fenomeno bullismo, seguendolo negli anni. L’indagine più recente rileva che il bullismo verbale e quello indiretto sono molto più diffusi di quello fisico: la diffusione di informazioni false o cattive viene vissuta da un 25,2% di intervistati, seguiti dalle vittime di provocazioni e prese in giro ripetute (22,8%), quindi un 21,6% che afferma di essere stato ripetutamente oggetto di offese immotivate; il 10,4% dei ragazzi si è detto vittima di esclusione e isolamento continui. A seguire: gli episodi di danneggiamento di oggetti sono anch’essi al 10,4%, i furti di cibo e oggetti al 7,6%, al 5,2% le minacce e il furto di denaro arriva al 3,1%. Per quanto riguarda la forma fisica del bullismo, denuncia di aver subito percosse il 3% dei ragazzi intervistati.

Confrontando i dati relativi all’Italia a quelli degli altri paesi si evidenzia come il fenomeno raggiunga un livello quasi doppio rispetto ai dati inglesi, che già risultano essere elevati rispetto alla Norvegia, all’Irlanda e al Giappone.

Come mai in Italia il fenomeno ha dimensioni così grandi? E’ forse indice di un paese più violento? A tali quesiti i vari ricercatori italiani non sono attualmente in grado di rispondere ma ventilano alcune ipotesi interessanti.
L’elevata incidenza del bullismo in Italia sembra essere un fatto reale in parte legato alle nostre caratteristiche culturali. Il maggior numero di prepotenze denunciate o riconosciute da chi le compie, potrebbe essere legato al fatto che nel nostro paese il conflitto è più tollerato perché conduce meno facilmente alla rottura dei rapporti tra le parti in causa. Sarebbe proprio la ridotta rilevanza data al dissidio a renderlo più facilmente denunciabile. I bambini italiani risultano essere più flessibili nel gestire la risoluzione dei conflitti, tollerando maggiormente le manchevolezze degli amici. Inoltre forme di violenza più ricorrenti, come quelle verbali (prendere in giro, ridere di qualcun altro, ecc.), sono considerate dai nostri ragazzi meno invasive e negative, facendo parte delle forme di umorismo molto diffuse in alcune regioni. Il numero delle aggressioni di tipo fisico diminuiscono in modo sensibile con il passaggio alla scuola media, mentre rimangono elevate quelle verbali ed aumentano quelle indirette (calunniare l’altro). Questo fa comprendere come al crescere dell’età non si ha l’estinzione del fenomeno, ma un suo cambiamento qualitativo: da forme di prevaricazione più visibili e plateali ad altre più sottili e raffinate. La sensibile diminuzione del fenomeno nel passaggio dalla scuola elementare alla media è dovuta al fatto che il bullismo si presenta generalizzato durante la fanciullezza, ma perde questa caratteristica nel periodo della pubertà (l’evolversi di capacità social-cognitive e morali, diminuisce il numero di coloro che prevaricano e di quelli che si lasciano prevaricare) in cui i ruoli di bullo e di vittima si consolidano nel tempo.

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Cosa dice la legge

In Italia, al momento, il bullismo non è un reato in sé, ma, ci spiega Save the Children, possono essere punite le sue diverse manifestazioni: percosse (articolo 581 del Codice Penale), lesioni (art. 582), danneggiamento alle cose (art. 635), ingiuria (art. 594), diffamazione (art. 595), molestia o disturbo alle persone (art. 660), minaccia (art. 612), atti persecutori, o stalking (art. 612 bis), sostituzione di persona (art. 494). In tutti i casi possibili, è punibile il reato sia che avvenga in persona, sia che abbia luogo in rete: per esempio, lo stalking tramite email e messaggi su social network, la sostituzione di persona tramite creazione di profili a nome di altri, e così via – sono comprese quindi nel discorso le manifestazioni di cyber-bullismo.
Per attivare i rimedi legali è necessario procedere alla denuncia, in determinati casi con querela. Bisogna ricordare, però, che il minore di 14 anni non è mai imputabile, ma può essere considerato socialmente pericoloso, e dunque possono essere applicate determinate misure, come la restrizione della libertà personale tramite libertà vigilata o ricovero in riformatorio. Il minore di 18 anni, con più di 14, invece, può essere ritenuto responsabile e quindi imputato, purché sia dimostrata la capacità di intendere e di volere.
In ogni caso, un bullo capace di intendere e di volere, anche minorenne, viene ritenuto colpevole delle sue azioni, assieme ai genitori e agli insegnanti (se il bullismo si è verificato a scuola), ovvero le persone che dovevano, rispettivamente, educarlo e vigilare sulle sue azioni.
In caso di danno patrimoniale, il risarcimento spetterà a chi verrà ritenuto, caso per caso, principale responsabile della possibilità di azione del bullo, quindi potranno essere chiamati a pagare i genitori, la scuola, l’associazione sportiva e così via.
La scuola, inoltre, ha anche il compito di organizzare la permanenza al suo interno degli alunni e di fare in maniera che questa sia controllata e sicura; in caso di bullismo, dunque, può essere ritenuta colpevole di quella che è definita culpa in organizzando, cioè di mancate organizzazione e sorveglianza idonee.

Il cyber-bullismo

La società odierna è una società in grande fermento e in continuo cambiamento. Le tecnologie cambiano a velocità tale che è quasi impossibile mantenersi aggiornati, e prendono sempre più spazio e importanza nella vita quotidiana di ognuno, specialmente dei giovani. La comunicazione, i giochi, i rapporti interpersonali, la ricerca di informazioni, tutto ormai può essere facilitato e gestito con qualche mezzo tecnologico.
Questo può essere un vantaggio o un disagio: dipende da come ci si rapporta alla tecnologia, da quanto la si conosce e da quanto la si usa o ci si fa usare. Il problema è la mancanza di una guida, di un modello di riferimento: per la prima volta si presenta una situazione simile, e i giovani non hanno la possibilità di imitare il comportamento degli adulti – che a loro volta vanno a tentoni, più in difficoltà forse delle generazioni più giovani.
È la comunicazione, soprattutto, a essere stata stravolta: tutti possono parlare con tutti, in modo pubblico o privato, anonimamente o identificandosi, in gruppo o singolarmente, decidendo in anticipo chi può partecipare allo scambio, chi può esserne testimone, chi escludere completamente, in una sorta di rischiosa onnipotenza.

Cos’è il cyber-bullismo

Il cyber-bullismo è la forma più moderna del bullismo tradizionale, la sua evoluzione in chiave tecnologica, che sfrutta i nuovi mezzi di comunicazione per perpetrare le molestie.
La definizione di Patchin e Hinduja (citata in Civita, 2011) comprende nel cyber-bullismo tutti quei gesti che causano danni volontari e ripetuti tramite gli strumenti elettronici; troviamo quindi anche in questo caso le caratteristiche già viste in precedenza, parlando delle manifestazioni più tradizionali del bullismo, ovvero intenzionalità, sistematicità e asimmetria. Non tutti però sono concordi: secondo alcuni, si possono includere nel fenomeno anche gesti in cui manchi una vera intenzionalità a ferire, o episodi sporadici, o ancora casi in cui non vi sia asimmetria; questa difficoltà nel trovare un accordo e una definizione è testimonianza proprio del fatto che il cyber-bullismo sia un fenomeno recente e ancora non inquadrato.
Nel corso di questa trattazione, utilizzerò il termine cyber-bullismo intendendo episodi che presentino tutte tre le caratteristiche, utilizzando quindi la nomenclatura di Civita (2011), che definisce poi cyber-teasing i dispetti, quindi gesti che non nascono con l’intenzionalità di ferire, e cyber-arguing i litigi, ripetuti o meno.
Per quanto riguarda la sistematicità, si può considerare che sia, in alcuni casi, data dalla natura stessa del fenomeno: nel momento in cui l’aggressione o la presa in giro sono rese pubbliche, esse sono visualizzabili in continuazione, sempre da persone diverse, potenzialmente da tutto il mondo, e inoltre potrebbero essere ripetute all’infinito, salvate, inoltrate – il destino di qualcosa caricato in rete non è controllabile; la reazione di vergogna, il senso di umiliazione nella vittima, quindi, sono continuati, ripetuti, protratti.
Considerando l’asimmetria, infine, essa può assumere molte forme online: supremazia psicologica, anonimato, possesso di informazioni, foto o video che possono creare danno alla vittima, maggiori conoscenze o competenze.
Oltre alle tre caratteristiche già viste, peculiarità del cyber-bullismo è l’uso degli strumenti elettronici; questo permette al bullo di essere presente nella vita della sua vittima in maniera continuata e pervasiva, togliendo quindi il conforto e la sicurezza che, nel bullismo tradizionale, era offerto dal ritorno a casa; il bullo si può muovere, dunque, in assenza di limiti spaziali e temporali, e inoltre mantenere l’anonimato – addirittura, il bullo e la vittima potrebbero non conoscersi. A questo si aggiunga che la comuncazione online crea una distanza anche psicologica tra i partecipanti, e il risultato è un forte indebolimento delle remore etiche, che può portare il bullo a dire o fare cose che non farebbe nella realtà: non è detto, infatti, che i cyber-bulli siano anche bulli nella vita reale, anche se spesso accade; nel mondo del web si può essere una persona diversa da quella vera. Nel il termine cyber-bullismo sono comprese svariate tipologie diverse di minacce:
flaming: il termine indica l’invio di messaggi elettronici volgari o offensivi con lo scopo di far nascere un litigio tra due o più contendenti, che si confrontano con lo scopo di stabilire una supremazia, un “vincitore”. È una categoria borderline, in quanto quasi sempre la discussione che si genera è ad armi pari, e quindi manca dell’asimmetria del bullismo;

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harassment: indica l’invio di messaggi elettronici, pubblici o privati, scortesi, offensivi, volgari, disturbanti, minacciosi, che hanno il chiaro intento di ferire e sono ripetuti nel tempo. Sono quindi presenti tutte le caratteristiche del bullismo, in quanto la vittima non riesce, o non può, difendersi o rispondere a tono, e se lo fa, l’intento è solo quello di fermare l’attacco, non di primeggiare come nel caso del flaming. Può quindi accadere che il bullo chiami in supporto suoi contatti online (reclutamento volontario), che partecipano indifferentemente dal loro effettivo coinvolgimento personale con la vittima;
cyber-stalking: è il caso in cui l’harassment diventiu particolarmente insistente e intimidatorio; la vittima comincia a temere per se stessa e la propria sicurezza, e si passa a una vera e propria persecuzione. In questo caso, bullo e vittima si conoscono personalmente, e hanno generalmente un rapporto molto conflittuale;
denigration: il bullo punta a demolire la reputazione o i legami interpersonali della sua vittima, e per farlo pubblica online materiale imbarazzante o offensivo, come foto, video o anche pettegolezzi, sia vero che falso. I destinatari generalmente non sono le vittime stesse ma gli spettatori, che possono restare passivi (si limitano a guardare/leggere) o diventare attivi, scaricando, commentando, inoltrando il materiale, contribuendo quindi in qualsiasi modo a diffonderlo (reclutamento involontario), ma anche agendo in senso contrario, e quindi segnalando al gestore della piattaforma o alle autorità competenti, o schierandosi dalla parte della vittima;
impersonation: con lo stesso scopo del caso precedente, il bullo si finge la sua vittima, ne assume l’identità dopo aver individuato, ottenuto o rubato i dati di accesso online o creandosi un account fittizio, e pubblica a suo nome messaggi e materiale che danno una cattiva immagine della vittima stessa;
outing e trickery: il primo termine identifica quei casi in qui il bullo pubblica online le confidenze spontanee della sua vittima, salvate e diffuse senza il suo permesso. Il secondo indica i casi in cui le confidenze stesse sono ottenute con l’inganno;
exclusion: è l’esclusione dal gruppo online, che sia in un gioco, in un forum, in chat o in qualsiasi altra situazione in rete di gruppo. Nell’attuale contesto giovanile, il potere personale è dato non solo dai rapporti reali, ma anche da quelli in rete; l’esclusione, quindi, è una forma di punizione o molestia molto severa tra i più giovani;
cyber-bashing o happy slapping: è una forma di bullismo contemporaneamente reale ed elettronico: la vittima viene picchiata, l’aggressione ripresa e condivisa online.

 

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