Non voglio mica la Luna

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Non voglio mica la Luna


Sono cinquant’anni, sembra secoli fa.


Gli innamorati, oggi, non guardano più lassù per coccolarsi nel loro amore, si scambiano messaggini e foto su Facebook. I finanziatori non sperperano più per una conquista lontana, investono nella ricerca sul Dna e sulle sue proficue (sebbene non ancor del tutto provate) applicazioni per una medicina a misura d’uomo.


I pescatori hanno strumenti tecnologici che ordinano quando buttare le reti, anche se non c’è la Luna piena ad attirare i pesci in superficie, come vuole tradizione. Neppure i bambini, ormai, subiscono più il fascino dei corpi celesti:
l’astronauta, secondo una recente inchiesta, è agli ultimi posti fra i mestieri più ambiti; in cima, tra i sogni dei nostri figli, ci sono il calciatore o lo chef (e la velina, of course). Non si guarda più volentieri la Luna; o non la si guarda più volentieri come prima.
Le rimproverano di essere stata sinora l’oggetto di inutili fantasie e sentimentalismi: un deposito di mal calcolate tenerezze; infine, una delusione». La magia di quel momento era svanita, pochi mesi dopo la conquista. Trecentottantadue chilogrammi di Luna, roccia e polvere, sono conservati nella banca della Nasa; li hanno studiati sino alla fine degli anni Settanta e ora sono dimenticati, semplici “campioni di riferimento”. Anche Milano ha il suo piccolo sogno di Luna in un cassetto, un frammento di basalto raccolto nella Taurus Littrow Valley che l’America donò al governo italiano e oggi il Museo della Scienza e della Tecnica custodisce gelosamente nel caveau. Consoliamoci pensando che i nostri computer portatili, i telefonini, gli apparecchi senza fili, le antenne Tv, le videocamere miniaturizzate e almeno altri 30.000 oggetti oggi di uso quotidiano sono figli di quei primi voli nello Spazio. Di una tecnologia, e soprattutto di una microelettronica, testata in condizioni estreme e irripetibili.
Al Kennedy Space Center in Florida sono rimaste solo frotte di turisti che s’ammassano nei pulmini a getto continuo per vedere  la rampa di lancio 39, il pad da dove è partita la grande avventura sulla Luna il 16 luglio di cinquant’anni fa. Chi quella notte era già nato, si fa investire dalla malinconia. Per i più giovani è come una visita alla vicina Disneyworld, solo un po’ più noiosa, meno male che c’è il simulatore di volo che “ti fa accartocciare la faccia” mentre fingi di essere Armstrong in fase di lancio.

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Paragonare il volo dell’Apollo 11 alla spedizione di Cristoforo Colombo sulla via delle Indie è stato un errore. Nonostante l’entusiasmo dei media, le rattoppate caravelle del capitano genovese scoprirono un’immensa terra di conquista. La Luna dove sono atterrati i sei Apollo è tornata buia, inerte e sola, come prima del primo passo di Armstrong – «Un piccolo passo per l’uomo, ma un gigantesco balzo per l’umanità», gli avevano suggerito di dire alla Nasa. Nessuno, però, è poi andato a sfruttare le risorse segrete del satellite, non ne valeva la pena.
Anche se oggi i cinesi sembrano pensarla diversamente. In realtà, la frenetica corsa verso lo spazio non fu soltanto una sterile gara da guerra fredda, o un’alternativa morale alla guerra vera, fra due potenze che si erano accaparrate i migliori tecnici del mondo nazista per mettersi a giocare con i razzi. Le sue ricadute hanno dato una spinta importante alla ricerca in moltissimi settori “terrestri”, dalla medicina alla biologia, dalla microelettronica alle telecomunicazioni, dalla scienza dei materiali alla produzione di energia con fonti alternative. Fallout tecnologici che hanno rivoluzionato il nostro modo di lavorare e di vivere. Senza la Luna, sarebbero arrivati molto dopo i missili sottomarini a propulsione nucleare e le fuel cells, le moderne tute ignifughe dei pompieri e le lenti miniaturizzate, i pannelli solari e il wireless. Perfino Craig Venter, forse, non avrebbe scoperto il Dna, il microscopico filo a spirale che ci determina, se Armstrong non avesse posato piede su quel suolo, “morbido e farinoso come un deserto”, e Washington non avesse buttato tanti soldi nelle ricerche sulla microelettronica e sull’information technology. Gli elaboratori usati a bordo degli Apollo furono infatti la forza trainante dietro le prime ricerche sui circuiti integrati.
Col tempo, molti si sono accorti di quanto proficue potessero diventare quelle lussuose spedizioni sulla Luna. Carl Sagan, uno dei massimi astronomi del ventesimo secolo, che inizialmente aveva bollato come inutile e poco eccitante l’avventura di «quei ragazzi chiusi in una lattina nell’orbita terrestre», ha fatto mea culpa arrivando a dire che «ogni civiltà è obbligata a viaggiare nello Spazio, non per spirito d’avventura o per romanticismo, ma per la più pratica delle ragioni possibili: sopravvivere nell’universo».
Ma altre sfide, altri problemi assillavano e assillano il nostro Pianeta. Ci furono ancora cinque spedizioni Apollo (tutte approdate sulla Luna, tranne Apollo 13 che fece un drammatico retrofront), le ultime tre furono cancellate.
Usa e Urss tornarono a sfidarsi con le armi, e gli scudi spaziali. Medici, biologi, matematici, chimici, ingegneri e scienziati in genere, rimasti con i piedi saldamente ancorati alla Terra, si son buttati a testa bassa a cercar soluzioni a problemi più vicini e spesso più remunerativi: una cura per il cancro, i misteri della genomica e delle nanotecnologie, nuove fonti di energia rinnovabili e altre soluzioni ecologiche per smettere d’inquinare la Terra. Ma pure telefonini sempre più piccoli, televisori sempre più grandi, aerei low cost che solcano i cieli in lungo e in largo e han fatto del volo un affare di massa. A bassa quota.

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La conquista della Luna – quel “prolungamento della Terra nel cosmo”, come disse Armstrong – di colpo è diventato un passatempo costoso.
Forse inutile. Vinta la sfida con l’apparato militar-industriale del Cremlino per il primato spaziale, c’erano ben altre priorità. Alla faccia di Von Braun, ex nazista divenuto eroe, che aveva pronosticato una storia diversa: «Potremo fornire agli astronauti sulla Luna un ricovero munito di provviste ed equipaggiamento sufficienti a far vivere per molti mesi un gruppo di esploratori. Come una spedizione che sverni qui sulla Terra, nell’Antartide, essi non potrebbero ricevere visite, ma procederebbero tranquillamente nelle loro ricerche scientifiche».
Nulla di tutto ciò è avvenuto. L’entusiasmo si è sciolto rapido come neve al sole e nessun essere umano ha più camminato sulla Luna. Lo Spazio è rimasto terra di conquista per satelliti e sonde, incaricati di osservare e gestire soprattutto la Terra, la sua evoluzione meteorologica, il frenetico scambio di parole, suoni e immagini dei suoi abitanti. Punto. Astronauti e cosmonauti, l’uomo nello Spazio o sulla Luna, interessavano sempre meno. E alle foto arrivate da Marte abbiamo buttato solo qualche rapido sguardo.  Saranno probabilmente le nuove tigri dell’Asia, Cina e India, a ritornare là dove i Grandi hanno deciso di fermarsi.
Gli uomini di domani, cinesi o americani che siano, avranno più tecnologia, tute più leggere, comunicazioni impeccabili, sistemi ultrarobotizzati. Insomma, guardiamola la Luna stasera, tenendo in mente un’immagine e le parole di John Dos Passos: «Nessuna letteratura fantascientifica poteva prevedere lo stordimento, il timore reverenziale, il soprassalto che si prova vedendo la fotografia della Terrache sorge dall’orizzonte spento della Luna». Agli astronauti basta alzare un dito pollice per coprire il nostro pianeta, «la sola nota di colore nello Spazio».

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