CALCOLARE IL PENSIERO

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CALCOLARE IL PENSIERO


E’ possibile riprodurre artificialmente le funzioni dell’intelligenza umana,costruire macchine che sappiano svolgere gli stessi compiti solitamente affidati all’ uomo (secondo l’ipotesi debole dell’intelligenza artificiale)? E’ poi possibile riprodurre artificialmente non solo le funzioni, ma anche gli stessi procedimenti dell’intelligenza umana (come sostiene l’ipotesi forte dell’ intelligenza artificiale)?Se una di queste due cose è possibile, si può costruire una macchina intelligente, e in questo caso (specie se anche la seconda ipotesi è realizzabile)diventa probabile che la stessa intelligenza umana si basi ultimamente su meccanismi analoghi a quelli di una macchina intelligente, e che il suo funzionamento sia spiegabile meccanicisticamente. Viceversa, se si dovesse accertare che l’intelligenza umana ha basi meccaniche,diverrebbe assai probabile che si possano costruire meccanismi in grado di imitarla. La discussione sull’intelligenza artificiale può dunque partire da tesi sulle possibilità della tecnologia per giungere a tesi sull’antropologia, o viceversa. Nel percorso sono coinvolte informatica, psicologia, neurologia e filosofia della mente.


Tradizionalmente l’intelligenza è stata considerata una prerogativa dell’anima umana, sicché né animali né macchine, in quanto privi di anima, avrebbero potuto esserne dotati. Anche nei secoli passati, tuttavia, si sono avute tesi divergenti rispetto a questa credenza generalizzata, tesi alla luce delle quali l’intelligenza artificiale si sarebbe potuta considerare possibile. Cruciale, a questo riguardo, è la questione del rapporto tra anima e corpo: data la loro radicale eterogeneità (spirituale l’una, materiale l’altro), si tratta di spiegare come l’anima possa agire  sul corpo (ad esempio facendolo muovere in un modo piuttosto che in un altro) e il corpo sull’anima (ad esempio producendo in essa sensazioni). Già dai secoli passati si sono quindi delineate due strategie: o postulare una connessione garantita dall’esterno (ad esempio per opera divina), oppure attenuare o eliminare la radicale eterogeneità dei due elementi.Si può ad esempio: (a) negare l’esistenza del corpo e mantenere solo l’anima, o viceversa(b) negare l’anima attribuendone tutte le funzioni al corpo, o più semplicemente (c) rinunciare a considerarla come sostanza separata, presentandola invece come funzione o manifestazione dell’attività corporea.Le prospettive (b) e (c) implicano la convinzione che un oggetto materiale sufficientemente complesso e articolato come il corpo possa svolgere le funzioni dell’anima o dar vita all’anima come manifestazione di sé (volendo poi precisare meglio tale idea, come i progressi della ricerca consentivano di fare già ai pensatori del Seicento, al posto del corpo si può parlare del cervello, o come oggi si preferisce, del sistema nervoso centrale). Tale concezione, a sua volta, rende possibile pensare che animali e macchine, dotati di un cervello o di organi analoghi, possano pertanto sentire, pensare, ed essere intelligenti. Ecco l’importanza per la discussione sull’intelligenza artificiale del tradizionale problema filosofico dei rapporti tra anima e corpo, o come oggi più comunemente si dice, tra mente e corpo o tra mente e cervello ( il termine mente, infatti, è meno carico di presupposizioni teologiche e metafisiche, e pur denotando il complesso di tutte le possibili manifestazioni della vita psichica (sensazioni, sentimenti, pensieri, volizioni …) non implica di per sé l’idea di una sostanza separata). Il lungo dibattito su tale problema ha comunque mostrato che la coscienza (intesa come consapevolezza soggettiva di sensazioni, pensieri, emozioni, o dei loro contenuti), pur essendo l’aspetto più caratteristico della vita mentale, è anche quello che più difficilmente si potrebbe pensare di riprodurre in una macchina.Si può allora parlare di intelligenza artificiale anche senza chiedersi se le macchine possano avere una mente, ma solo se esse possano svolgere quelle particolari funzioni della mente che hanno a che fare con l’intelligenza; in altri termini, si può pensare a una macchina intelligente, ma priva di sensazioni,emozioni, e in sintesi di coscienza.


Fra i primi a credere che fosse possibile costruire una macchina che sostituisse l’uomo  anche nelle attività intellettuali troviamo uno dei più grandi matematici e filosofi dell’epoca  moderna, Leibniz. Leibniz pensava che l’uomo potesse affidare le operazioni meccaniche e ripetitive a delle calcolatrici e dare così alla mente umana la possibilità di dedicarsi ad attività nuove e creative,  ed effettivamente egli stesso si impegnò a costruire un modello di calcolatrice basata sulla Pascaliana (macchina addizionatrice costruita dal filosofo francese Pascal) che implementava  anche l’operazione di moltiplicazione (inoltre Leibniz credeva che tutto il pensiero fosse calcolabile grazie ad una caratteristica universale, un alfabeto speciale i cui simboli  racchiudono tutto il pensiero umano).

Ancora dopo Leibniz, un altro matematico tentò l’impresa di costruire un calcolatore universale, si tratta di Babbage e della sua Macchina Analitica.
Questa macchina, a differenza delle precedenti, poteva essere programmata, così da definirsi universale. Il suo funzionamento non dipendeva soltanto dalla sua struttura hardware (ovvero la sua progettazione fisica-meccanica), ma anche dal software (i programmi, serie ordinata di operazioni da compiere) che veniva passato tramite schede perforate, proprio come quelle usate nei telai degli opifici per determinare la trama del tessuto.
Sfortunatamente Babbage non riuscì mai a completare la sua Macchina Analitica a causa del mancato finanziamento del progetto.
Tratteremo in questo articolo l’evoluzione del dibattito intorno alla possibilità di costruire macchine che possano pensare.
Le posizioni fondamentali in questo dibattito sono quella di Turing, secondo cui se una macchina appare intelligente possiamo dire che lo è realmente; quella di Searle, che critica la possibilità di un’IA “forte”, in cui le macchine non simulano un comportamento intelligente ma sono realmente intelligenti; e ancora quella che vede l’IA come una cosa possibile nel tempo, in cui le macchine costruiranno la loro intelligenza immergendosi nel mondo con un corpo altrettanto artificiale.
Se in fondo alla posizione di Turing troviamo il dualismo che vede la mente come uno schema logico che usa il corpo biologico come supporto materiale, ma è perfettamente astraibile per essere installato su un altro tipo di supporto, allora possiamo dire che la tesi di fondo di Searle è monista: l’intelligenza è determinata da poteri causali nel nostro cervello.
La terza posizione che sembra andare contro Searle, in quanto crede nella possibilità di un’IA e di una Coscienza Artificiale nel senso “forte”, è in realtà a sua volta una tesi monista.
Un programma in quanto tale non ha semantica e si limita a manipolare simboli formali, come direbbe Searle, ma non dobbiamo più considerare un programma, ma un insieme di programmi che conoscono il mondo attraverso vari organi di senso artificiali che collegano i simboli formali con il loro corrispondente materiale.

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Indice

leibnizLeibniz

Tra gli ingegneri, quando si parla della storia dei calcolatori i più si fermano a ricordare von Neumann e Turing, altri arrivano anche a parlare della macchina analitica di Babbage, ma solo in pochi risalgono indietro nel tempo a Pascal o Leibniz dando loro, magari, un’importanza marginale per quanto riguarda la storia degli odierni calcolatori, e forse far dimenticare loro la stretta relazione tra gli odierni computer e la calcolatrice di Pascal (la  pascaliana) che faceva solamente le due operazioni di addizione e sottrazione, o la calcolatrice di Leibniz che faceva tutte le operazioni algebriche è proprio questo anglicismo, come se computatore e calcolatore fossero due termini tra loro lontani.
leibniz il suo calcolatoreQuello che più lega soprattutto l’informatica moderna alle calcolatrice di Leibniz è proprio l’idea che ne sta alla base, tanto che si può dire che Leibniz fu il padre dei fondamenti dell’informatica, infatti la sua idea era quella di costruire una macchina che svolgesse con esattezza i faticosi calcoli che occupavano il tempo di uomini ingegnosi.
Con una macchina calcolatrice “uomini eccellenti” per il loro ingegno avrebbero potuto liberarsi dalla noia di fare i calcoli e affidarli a chiunque sapesse usare una macchina calcolatrice.
Fu proprio così che Leibniz costruì, con un meccanismo tutto suo, la sua calcolatrice basata sulla “ruota di Leibniz”.
L’opera che fa di Leibniz il padre dei fondamenti dell’informatica, e dell’intelligenza artificiale in particolare, è la sua Dissertatio de arte combinatoria del 1666, in cui propone di costruire un alfabeto (caratteristica) dei pensieri umani e scoprire gli strumenti adatti a manipolare i simboli di questo alfabeto.
Questo alfabeto che doveva raccogliere il pensiero umano in tutta la sua estensione, detto anche caratteristica universale (differente dalla caratteristica reale in cui ogni simbolo rappresentava un’idea ben definita come nella chimica o nell’astronomia), era secondo Leibniz uno strumento utile al potenziamento del pensiero umano. I ragionamenti potevano essere trattati con un rigore matematico che li rendeva più precisi, più esatti, permettendo di controllare meglio i passaggi logici e risolvere discussioni altrimenti interminabili.
Leibniz così progettava il primo linguaggio artificiale capace di formalizzare il pensiero per un calcolo di tipo logico-matematico. La sua convinzione era che uno dei segreti dell’algebra fosse proprio l’uso corretto della  notazione simbolica che mette subito all’occhio la relazione tra i simboli.
Per la realizzazione del suo progetto era necessaria prima un’enciclopedia che contenesse tutto ciò che è conosciuto dall’uomo, poi in base a questa si dovevano scegliere le nozioni fondamentali e i simboli adeguati. Una volta costruito l’alfabeto, poi, necessitava ridurre le regole deduttive a manipolazioni di questi simboli, quello che noi oggi chiamiamo logica simbolica e Leibniz ieri chiamava calculus ratiocinator. Tutto il pensiero formalizzato poteva essere calcolato e di fronte a qualsiasi discussione si potevano scomporre i pensieri e ordinarli e vedere le loro relazioni. Se crediamo che il pensiero umano possa essere formalizzato e calcolabile, allora il passo è
breve all’idea che questo può essere calcolato da una macchina calcolatrice a vedere in ciò gli albori dell’intelligenza artificiale.

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Boole

Martin Davis in Il calcolatore universale ci propone come evoluzione del pensiero leibniziano l’algebra booleana, capace di formalizzare i ragionamenti più impliciti e informali.
La maggior parte dei nostri ragionamenti non sono di tipo sillogistico, ma si avvalgono di quelle che Boole chiama «proposizioni secondarie, cioè proposizioni esprimenti relazioni fra altre proposizioni», come nella seguente conversazione, in cui Joe e Susan ragionano su dove possa essere il libretto degli assegni di Joe:
SUSAN L’hai lasciato al supermercato quando sei andato a fare la spesa?
JOE No, ho telefonato e non l’ hanno trovato. Se l’avessi lasciato lì l’avrebbero trovato di sicuro.
SUSAN Aspetta un momento! Ieri sera hai staccato un assegno al ristorante, e poi ti ho visto
rimettere il libretto nella tasca della giacca. Se dopo non l’hai più usato dev’essere ancora lì.
JOE Hai ragione, non l’ho più usato. E’ nella tasca della giacca.
Joe controlla nella tasca della giacca e trova effettivamente il blocchetto degli assegni lì.
Questo ragionamento può essere facilmente formalizzato etichettando le varie proposizioni con altrettante lettere dell’alfabeto, come nell’esempio proposto:
L= Joe ha lasciato il libretto degli assegni al supermercato
T= Il libretto degli assegni non è stato trovato al supermercato
S= Joe ha staccato un assegno ieri sera al ristorante
G= Ieri sera, dopo aver staccato l’assegno, Joe si è messo il libretto nella tasca della giacca
N= Joe non ha più usato il libretto degli assegni da ieri sera

A= Il libretto degli assegni di Joe è ancora nella tasca della sua giacca
e quindi possiamo scrivere questo ragionamento in modo da rendere evidente il suo carattere inferenziale:
PREMESSE
Se L, allora T
Non T
S&G
Se S&G&N, allora A
N
CONCLUSIONI
Non L
A
Potremmo continuare a seguire il lavoro di Boole nella formalizzazione che diviene estremamente astratta di questo ragionamento, ma quanto visto basta per capire il suo lavoro.
Grazie a questo modo di scrivere il ragionamento non sillogistico della conversazione, salta immediatamente all’occhio il suo carattere inferenziale.

Frege

Con l’algebra booleana, Davis dice, si va oltre la logica Aristotelica, ma si è ancora lontani da quello che avrebbe voluto realizzare Leibniz. Solo Frege riuscirà con un lavoro analogo a quello di Boole a trovare un alfabeto che permetta di formalizzare ogni tipo di frase.
L’opera in cui Frege espone la formalizzazione matematica del pensiero, proprio come avrebbe desiderato Leibniz, è l’Ideografia (titolo originale in tedesco Begriffsschrift) la cui importanza possiamo rilevare già dal sottotitolo: Linguaggio in formule del pensiero puro modellato su quello dell’aritmetica.

Così possiamo analizzare la singola proposizione “Tutti gli uomini sono mortali” usando la relazione logica dell’inferenza se…allora… e rileggerla come “Se x è uomo, allora x è mortale”. Questa proposizione può essere scritta ancora più stenograficamente (e ancora in modo che assomigli ad una vera e propria formula matematica):
(∀x)(u(x) → m(x))
dove:
è il simbolo che sta per il quantificatore universale che può essere letto come “∀ Tutti” o “Per ogni”;
u() rappresenta la proprietà “uomo” che x deve avere; → è il simbolo che in logica indica la relazione di inferenza se… allora…; m() rappresenta la proprietà “mortale” che x deve avere;
In questo modo Frege costruiva quello che Davis considera l’antenato degli odierni linguaggi di programmazione, infatti nell’Ideografia veniva descritto minuziosamente un linguaggio artificiale con tanto di regole grammaticali. Grazie a questo linguaggio era possibile presentare le inferenze logiche in un modo meccanico, dove tutto dipendeva dalla disposizione dei simboli.
Questa formalizzazione però non permette di ricavare con certezza se una conclusione segua in generale da certe premesse o meno, e per questo ancora non è possibile quel calculus ratiocinator leibniziano.

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Turing

La formalizzazione di questi linguaggi logico-matematici, studiati e implementati anche da altri matematici oltre quelli citati (da Russell a Hilbert a Gödel), portò Turing a costruire la prima macchina calcolatrice che eseguisse queste operazioni logiche.
La grande innovazione di Turing, non fu solo quella di aver progettato una macchina che eseguisse operazioni logiche (detta “Macchina di Turing”, MT), ma soprattutto di aver costruito una “Macchina di Turing Universale” (MTU) capace di simulare le normali MT.
Per la prima volta con la MTU il programma e i dati non coincidevano con la macchina stessa.
Questo tipo particolare di macchina era detta quindi programmabile, ovvero di volta in volta era capace di eseguire una lista di operazioni logiche diversa, ovvero programmi diversi.
Se il pensiero poteva essere realmente formalizzabile in un linguaggio logico per essere calcolato, come avrebbe voluto Leibniz, la MTU avrebbe potuto calcolarlo.
Se la macchina naturale che calcola il pensiero nella sua forma naturale è il cervello, allora possiamo dire che una MTU che calcola il pensiero formalizzato matematicamente simula il cervello.

Il gioco dell’imitazione

Una macchina universale, programmabile, se ben programmata potrebbe pensare? E’ possibile istanziare un programma che dia vita ad una mente?
Secondo Alan Turing sì. La mente non sarebbe altro che un sistema logico supportato da una macchina biologica facilmente sostituibile da qualsiasi altro tipo di macchina.
Tale convinzione secondo Hodges potrebbe derivare dalla sua prima lettura scientifica, quando all’età di dieci anni lesse Natural Wonders Every Child Should Know, in cui si poteva leggere:
Il corpo, naturalmente è una macchina. Una macchina estremamente complessa, molte e molte volte più complicata di qualunque macchina che sia stata fatta dalle mani dell’uomo; ma pur sempre una
macchina.
Queste parole valevano anche per il cervello, che nel libro veniva descritto come una macchina a combustione interna, il cui carburante non sarebbe altro che l’ossigeno.

Turing spiega così il “gioco dell’imitazione”, conosciuto oggi come test di Turing, in cui un giocatore (l’interrogante) deve fare domande ad altri due giocatori di cui non conosce nulla. I due giocatori sono rispettivamente un uomo e una donna, e il compito dell’interrogante è scoprire con le sue domande chi sia l’uomo e chi la donna; ha contatti con loro solo tramite bigliettini che non lasciano intuire il sesso dei giocatori (l’interrogazione non avviene oralmente per evitare che il tono della voce falsi l’esperimento, ma tramite carta o con una telescrivente).
Compito dei giocatori è ovviamente non far vincere l’interrogante, mettendosi d’accordo su chi dei due debba essere il mentitore che risponde come farebbe proprio l’altra persona. Per esempio possiamo decidere che l’uomo è il mentitore e questo dovrà sforzarsi di rispondere il più possibile come farebbe una donna, mentre la donna può rispondere semplicemente d’istinto. Così le domande più esplicite verranno scartate giacché se l’interrogante chiedesse il sesso dei giocatori entrambi risponderebbero che il loro sesso è femminile, e all’interrogate non resta che lavorare di fantasia per trovare domande che svelino il mentitore.
Turing a questo punto suggerisce di mettere al posto del mentitore umano un calcolatore digitale a rispondere. Turing si chiede se l’interrogante stavolta abbia più successo nel capire chi sia la persona e chi il computer. Questa domanda per lui è sostitutiva a quella originale: le macchine possono pensare?
Turing capisce subito che questa riformulazione esplicita il problema sotteso dalla domanda originale, ovvero il problema della relazione mente/corpo.
Il nuovo problema ha il vantaggio di tirare una linea di separazione abbastanza netta tra le capacità fisiche e quelle intellettuali di un uomo.
Infatti le domande che possono essere fatte devono basarsi su ogni campo della conoscenza umana, dato che i giocatori (umano e calcolatore) possono entrambi dichiarare attributi fisici umani e non è possibile per l’interrogante richiedere una dimostrazione empirica di questa affermazione.
Secondo Turing l’unica obiezione che si può fare a questo gioco è che la macchina si trova nello svantaggio di non essere imitabile dall’uomo per la sua perfezione, ma una macchina potrebbe essere programmata per simulare gli eventuali errori umani.
La migliore strategia per la macchina è quella di formulare risposte quanto più possibile simili a quelle che darebbe istintivamente il giocatore umano.

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