Io,robot?

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Un giorno dei prossimi trent’anni, molto tranquillamente, cesseremo di essere la cosa più brillante di questo pianeta

James McAlear

In Io,robot il film tratto dai racconti di Isaac Asimov, nel 2035 viene attivato il sistema robotico più avanzato che sia mai stato costruito. Si chiama VIKI ( Virtual Interactive Kinetic Intelligence) ed è stato progettato per assicurare il perfetto funzionamento di una grande metropoli.VIKI controlla tutto, dalla metropolitana alla rete elettrica, fino alle migliaia di robot adibiti a mansioni domestiche. Il suo compito primario è unico e indiscutibile: servire l’umanità.



Un giorno,tuttavia, VIKI si pone una domanda cruciale: qual è il peggior nemico dell’umanità? Dopo aver analizzato il problema da un punto di vista matematico, VIKI giunge alla conclusione che il peggior nemico dell’umanità è l’umanità stessa. Il genere umano va salvato dal proprio insano desiderio di inquinare, scatenare guerre e distruggere il pianeta. Per obbedire alla sua direttiva fondamentale, VIKI può fare solo una cosa: prendere il sopravvento sul genere umano e istaurare una dittatura benevola delle macchine. L’umanità dovrà essere ridotta in schiavitù per essere protetta da se stessa.


In Io,robot gli interrogativi sono questi: data la velocità astronomica con la quale aumenta la potenza dei computer, è possibile che un giorno le macchine avranno la meglio? Si può immaginare che i robot progrediscano a tal punto da diventare la più grande minaccia dell’umanità?

La storia dell’intelligenza artificiale

L’idea di una creatura meccanica affascina da sempre gli inventori, gli ingegneri, i matematici ed i sognatori. Dall’uomo di latta del Mago di Oz al robot con le sembianze di ragazzino del film di Spielberg AI:intelligenza artificiale, per arrivare ai robot assassini di Terminator, l’idea di una macchina capace di agire e pensare come un essere umano non ha mai smesso di affascinarci.

Secondo i racconti della mitologia greca il dio Vulcano creò serve meccaniche fatte d’oro e tavoli a tre gambe in grado di spostarsi autonomamente. Già nel 400 a.C. il matematico greco Archita di Taranto parlava, nei suoi scritti, della possibilità di costruire una colomba meccanica ad aria compressa. Nel I secolo d.C. Erone di Alessandria( cui si attribuisce il progetto della prima macchina a vapore) progettò degli automi. Secondo la leggenda, uno di questi era in grado di parlare. Novecento anni fa Al-Jazari progettò e costruì una serie di automi: orologi ad acqua, congegni per la cucina e strumenti musicali idraulici.

Nel 1495, Leonardo da Vinci disegnò lo schema di un automa, un cavaliere che poteva alzarsi da terra e mettersi a sedere e muovere le braccia, la testa e la mandibola. Secondo gli storici si tratta del primo schema realistico di una macchina umanoide.

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I primi robot funzionanti, per quanto primitivi, furono costruiti da Jacques de Vaucanson, che nel 1738 realizzò un suonatore di flauto e un’anatra meccanica.

Il termine “robot” proviene da un’opera teatrale scritta nel 1920 dal drammaturgo ceco K. Capek, R.U.R. ( “robot” significa “sfacchinata” in ceco e “manodopera” in slovacco).E’ la storia di una fabbrica, la Rossum Universal Robot, che produce robot destinati ai lavori più umili ( diversamente dagli automi tradizionali,si tratta di androidi in carne e ossa). A lungo andare, però, l’economia mondiale si trova a dipendere completamente dai robot.Esasperati dai maltrattamenti subiti, questi finiscono per ribellarsi ai loro padroni umani, e li sterminano. La loro furia incontrollata,tuttavia, li porta ad uccidere anche gli scienziati capaci di ripararli e crearne di nuovi, condannandosi così all’estinzione. Alla fine due robot speciali scoprono di essere in grado di riprodursi, e  di poter diventare così i nuovi Adamo ed Eva robotici.

Ritroviamo i robot nella trama di uno dei primi film muti mai realizzati, Metropolis (1927) del regista tedesco F.Lang. Il film è ambientato nell’anno 2026; la classe operaia è obbligata a lavorare in squallide fabbriche sotterranee, mentre l’elite dominante vive in superficie. Maria, una donna bellissima, si guadagna la fiducia degli operai, ma il proprietario della fabbrica, temendo che un giorno o l’altro la donna possa incitarli a ribellarsi, chiede ad uno scienziato di creare un robot con le sembianze di Maria. Il complotto, però, finisce per ritorcersi contro i suoi ideatori: il robot spinge gli operai a ribellarsi contro la classe dominante, provocando il collasso di tutto il sistema sociale.

Scienza e realtà

Per decenni gli scienziati che hanno tentato di creare robot si sono scontrati con due grandi problemi: il riconoscimento delle forme ed il buon senso. I robot vedono meglio di noi, ma non capiscono cosa stanno guardando.

Le macchine intelligenti hanno ormai funzioni cognitive che superano quelle dell’uomo. Ma restano ancora inadeguate le strutture concettuali da applicare a queste capacità.

L’Intelligenza Artificiale (Ai), cioè la capacità delle macchine di emulare comportamenti umani, ha compiuto di recente notevoli progressi. Questo si deve principalmente alla disponibilità di grandi volumi di dati e all’applicazione ad essi di sofisticati metodi di apprendimento automatico, resa a sua volta possibile dall’aumento vertiginoso delle capacità di calcolo anche per sistemi a basso costo. Incubata per decenni nei laboratori di ricerca e nelle università, l’Ai è divenuta mainstream industriale, non solo ad opera di aziende di nicchia e startup, ma anche per la spinta di colossi come Google, Apple, Microsoft, Ibm. In gioco c’è un salto di qualità nei sistemi di business, dai search engine semantici agli assistenti virtuali, dai riconoscitori di immagini e situazioni al trasporto automatizzato di persone e merci. Anche se non mancano eccellenze europee (comprese quelle italiane), parliamo per lo più di una rivoluzione post-industriale guidata dagli Stati Uniti, dove pure divampa il dibattito se, grazie ai suoi progressi, l’Ai possa soppiantare il genere umano in molti lavori e attività. O soppiantare il genere umano tout-court. Tuttavia, proprio dalla Association of Computing Machinery (Acm), la più grande associazione internazionale di informatici con sede in New York, giunge oggi un monito: molte delle sofisticate competenze che oggi vorremmo emulare con le macchine richiedono ragionamenti di senso comune (commonsense  reasoning) sui quali anche i migliori algoritmi di Ai applicati con la massima efficienza sulle più vaste basi di dati ancora annaspano.

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Ragionamenti di senso comune sono ad esempio quelli che ci permettono di capire a chi si riferisce un pronome o chi è il soggetto di un verbo.  Nella frase ‘hanno proibito il corteo perché temono la violenza’ il soggetto implicito del verbo ‘temere’ sono le autorità. Ma se sostituiamo il ‘temere’ con ‘minacciare’ (‘hanno proibito il corteo perché minacciano la violenza’) il soggetto del nuovo verbo allude chiaramente ai manifestanti.  Osservate che la forma della frase è esattamente la stessa: per risolvere i puzzle che il linguaggio ci presenta non basta la superficie sintattica, ma bisogna applicare intuitivamente quadri di riferimento (frame) concettuali. Di quanti e di quali frame abbiamo bisogno per comprendere fino in fondo il linguaggio? Difficile dirlo, anche perché ne nascono di continuo. La comprensione delle immagini  (computer vision) presenta problemi analoghi. Anche qui, la superficie delle immagini presenta spesso forme che dobbiamo interpretare con l’immaginazione, basandoci sulla nostra conoscenza di sfondo (background knowledge). Quella forma che emerge dietro al tavolo nella foto che osserviamo è per noi ovviamente una sedia, ma la stessa forma in un altra foto ci sembrerebbe tutt’altro, o nulla. Anche qui, per dare la corretta interpretazione ai dati che abbiamo davanti, dobbiamo far ricorso a ciò che conosciamo delle situazioni tipiche nel mondo, come il fatto che attorno ai tavoli vi siano solitamente alcune sedie. Quante situazioni esistono nel mondo? Chi ne fornisce l’elenco?

Di commonsense reasoning e delle sue difficoltà si parla fin dalla nascita dell’Ai, verso la metà del secolo scorso. La novità, secondo l’articolo della Acm, è che oggi, nonostante i progressi, non ci sono novità. Il fatto è che i punti di forza delle tecniche attuali, l’apprendimento automatico, i ‘big data’, sono senz’altro notevoli, ma non sembrano in grado di accostarsi al problema del senso comune. Ad esempio, nel campo della traduzione automatica, mediante l’analisi della distribuzione delle parole in grandi corpora testuali, si ottiene una certa accuratezza, ma non si possono evitare errori marchiani. Prendete il verbo inglese ‘to work’, che significa sia ‘lavorare’, sia ‘funzionare’.  Se lo accostate a un mestiere (‘the electrician is working’) otterrete correttamente il primo significato (‘l’elettricista lavora’), ma se inserite un inciso  tra soggetto e verbo, e questo menziona un artefatto (‘the electrician who came to fix the telephone is working’) otterrete un risultato indesiderato (‘l’elettricista che è venuto a riparare il telefono funziona’). Questo succede perché, ignaro dei concetti, l’algoritmo cerca di cavarsela ragionando sugli accostamenti delle parole. Anche tralasciando la non lieve questione filosofica se sia possibile giungere sulla sponda dei concetti navigando in un oceano di dati, l’idea di surrogare i frame del senso comune applicando algoritmi ai dati sembra di fatto ancora impraticabile.

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Ricapitolando: oggi siamo in grado di costruire macchine intelligenti con le quali si possono emulare alcune funzioni cognitive, e un nuovo tipo di industria sta nascendo attorno ad esse. Ma queste, per funzionare in modo accurato, devono riuscire ad applicare strutture concettuali complesse in grado di interpretare i dati. Non siamo sicuri che ci sia un modo automatico per dotare le macchine di queste strutture, anzi c’è il dubbio che questo sia impossibile, e che i metodi statistici che lavorano sui dati potranno fornirci al più alcune approssimazioni. L’avanzata dell’Ai nel territorio del lavoro cognitivo è già in atto e proseguirà. Tuttavia, non sarà un’avanzata napoleonica, fulminea e inarrestabile. Il terreno dell’intelligenza umana sarà conquistato palmo a palmo, caso per caso, applicazione per applicazione, con successi e fallimenti, come in tutte le umane vicende.  E tra queste vicende vi saranno auspicabilmente anche quelle che consentiranno al genere umano di  adattarsi socialmente al cambiamento in atto.

 

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