La lettura del pensiero e le macchina della verità

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la macchina della verita


Non si dicono mai tante bugie quante se ne dicono prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia.
(Georges Clemenceau)

La storia

Fino a un’epoca piuttosto recente – e in alcuni casi anche ai nostri giorni – il metodo principale usato dagli essere umani per individuare i bugiardi, soprattutto in ambito giudiziario, era la tortura. Verso la fine del Settecento una serie di filosofi e pensatori cominciarono a mettere in dubbio la legittimità, e anche l’utilità, di cercare di scoprire la verità utilizzando ferri roventi e tenaglie. Sparita la tortura delle aule di tribunali, almeno ufficialmente, gli scienziati cercarono di inventare nuovi metodi per distinguere i bugiardi. Nel corso dell’Ottocento, grazie ai progressi della medicina, si scoprì che mentire spesso provoca uno stress che è in qualche misura misurabile da appositi strumenti. Alcuni scienziati cominciarono a creare strumenti in grado di misurare il battito cardiaco o la pressione sanguigna durante un interrogatorio. In quello stesso periodo, gli studiosi cominciavano a capire la fisica su cui si basa il funzionamento del cervello. Nel corso del XIX secolo , infatti, era maturata l’idea che nel cervello venissero trasmessi segnali elettrici. Nel 1875, Richard Caton scoprì che se si mettevano degli elettrodi sulla testa si poteva rilevare una debole attività elettrica generata dal cervello. Fu così che arrivò all’invenzione dell’ elettroencefalografo (EEG).

In teoria, il cervello è un trasmettitore che diffonde i pensieri sotto forma di minuscoli segnali elettrici ed onde elettromagnetiche.


Servirsi di questi segnali per leggere il pensiero di qualcuno,tuttavia, presenta problemi. Anzittutto i segnali sono estremamente deboli: la potenza associata è dell’ordine dei milliwatt. In secondo luogo,sono disturbati, a tal punto che spesso diventa impossibile distinguerli dal “rumore di fondo”.

Negli ultimi dieci anni sono stati sviluppati nuovi strumenti, grazie ai quali possiamo scrutare per la prima volta all’interno del cervello e dei suoi pensieri. In prima linea troviamo le scansioni celebrali effettuate attraverso la PET ( Positron – Emission Tomograpy, tomografia ad emissione di positroni) e la MRI ( Magnetic Resonance Imaging, generazione di immagini a risonanza magnetica). Per realizzare una scansione PET si inietta nel sangue una certa quantità di zucchero radioattivo, che si concentra nelle aree di cervello coinvolte nel processo del pensiero, dove è maggiore il bisogno di energia. Lo zucchero radioattivo emette positroni ( elettroni positivi), facilmente rilevabili dalla strumentazione. Così ricostruendo l’immagine generata dall’antimateria in un cervello vivente, è possibile delineare anche la struttura del pensiero, identificando con precisione quali parti del cervello sono coinvolte in una determinata attività.

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Le macchine a MRI funzionano nello stesso modo, ma sono più precise. Quando la testa di un paziente viene infilata in un grosso magnete a forma di ciambella, i nuclei degli atomi del cervello si allineano parallelamente alle linee del campo magnetico. L’invio di un impulso a radiofrequenza fa oscillare i nuclei e questi, nell’orientarsi in un’altra direzione, emettono una piccola “eco” radio che può essere misurata, e dalla quale si può dedurre la presenza di una sostanza particolare.

Ad esempio, dato che l’attività cerebrale è correlata al consumo di ossigeno, la macchina ad MRI può isolare il processo concentrando la propria attenzione sulla presenza di sangue ossigenato. Ad una maggiore concentrazione di sangue ossigenato in una certa zona del cervello corrisponde un’attività mentale più intensa. Le nuove macchine a MRI ( MRI funzionale) sono in grado di esaminare porzioni di cervello delle dimensioni di un millimetro in una frazione di secondo, e questo le rende ideali per delineare la struttura dei pensieri nel cervello di un essere vivente.


Le macchine della verità.

Il test più semplice di “lettura del pensiero” consiste nel determinare se una persona sta dicendo o no la verità.

Secondo una leggenda, la prima macchina della verità fu inventata secoli or sono da un sacerdote indiano. Costui piazzava la persona sospettata all’interno di una stanza isolata insieme ad un “asino magico”, con l’ordine di tirargli la coda. Se l’asino avesse cominciato a parlare, avrebbe voluto dire che il sospettato mentiva. Se l’asino fosse restato zitto, il sospettato diceva la verità. Prima di rinchiudere il sospettato nella stanza, però il sacerdote di nascosto cospargeva di fuliggine la coda dell’asino.

Quando veniva fatto uscire dalla stanza, solitamente l’accusato proclamava la propria innocenza, perchè l’asino non aveva parlato quando gli aveva tirato la coda. A questo punto il sacerdote esaminava le mani dell’accusato. Se erano pulite, allora l’accusato mentiva ( talvolta la minaccia di usare una macchina della verità è più efficace della macchina stessa).

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Il primo “asino magico” dell’era moderna nacque nel 1913, quando lo psicologo William Marston scrisse un articolo in cui si affermava che c’era una correlazione tra le bugie e l’aumento della pressione sanguigna ( è un’osservazione che in realtà risale all’antichità, quando si interrogava una persona sospetta mentre qualcuno le teneva le mani). L’idea attecchì e ben presto anche il Dipartimento della Difesa fondava un suo Polygraph Institute.

Con il passare degli anni però, ci si rese conto che le macchine della verità potevano essere ingannate da persone affette da disordini della personalità, prive di rimorsi per le proprie azioni. Il caso più famoso è quello dell’agente della CIA  A. Ames, che per denaro fornì all’Unione Sovietica i nomi di decine di agenti americani ( condannandoli così a morte certa) ed i segreti nucleari della marina statunitense. Per anni Ames passò indenne attraverso una sfilza di macchine della verità della CIA, e come lui anche il serial killernoto come “il killer di Green River”, che aveva ucciso più di una cinquantina di donne.

Nel 2003, la National Accademy of Science pubblicò un rapporto durissimo sull’affidabilità delle macchine della verità: nel documento si elencavano tutti i modi in cui una macchina della verità poteva essere ingannata, finendo per marchiare un innocente come bugiardo.

Ma se le macchine della verità misurano solo i livelli di ansia, perchè non si effettuano le misure direttamente sul cervello? L’idea di frugare nell’attività cerebrale per scovare le bugie risale ad una ventina di anni fa ed ai risultati pubblicati da P. Rosenfeld , il quale aveva notato negli elettroencefalogrammi di chi mentiva una struttura delle onde P300 diversa da quella esibita da persone che dicevano la verità ( le onde P300 tendono a svilupparsi quando il cervello incontra qualcosa di nuovo o di fuori dal comune).

L’idea di servirsi delle scansioni MRI per individuare le bugie venne nel 1999 a Daniel Langleben dell’Università della Pennsylvania, quando si imbattè in un articolo in cui si affermava che i bambini affetti da deficit dell’attenzione non riescono a dire bugie. Egli sapeva tuttavia, per esperienza, che non era vero: quei bambini non avevano alcun problema a mentire. Il loro unico problema era la difficoltà nell’inibire la verità. ” Semplicemente spiattellavano tutto quanto”, osservava Langleben, il quale ipotizzò che, nel dire una bugia, il cervello deve dapprima smettere di dire la verità, per poi dar vita all’inganno. Secondo Langleben:”Quando mentite deliberatamente, dovete ricordarvi qual è la verità. Dunque è ragionevole aspettarsi che ne derivi una maggiore attività cerebrale”. In altre parole, mentire costa fatica. Langleben effettuò alcuni esperimenti in cui si richiedeva agli studenti di mentire, e non tardò ad accorgersi che mentire fa aumentare l’attività di diverse aree del cervello, tra cui il lobo frontale ( dove sono concentrate le funzioni superiori del pensiero), il lobo temporale ed il sistema libico ( considerato il luogo di origine delle emozioni).Notò in particolare un’attività fuori dal comune nel giro cingolato anteriore ( che viene associato alla risoluzione dei conflitti e all’inibizione delle reazioni).

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Langleben sostiene di aver ottenuto, nel corso degli esperimenti controllati il cui obiettivo era capire se i soggetti mentissero ( ad esempio chiedendo loro di mentire sull’identità di una carta da gioco), un tasso di successo del 99%.

L’interesse per questa tecnologia è cresciuto a tal punto da far nascere parecchie iniziative commerciali, che offrono il servizio a chi ne faccia richiesta.

Secondo i sostenitori della teoria di Langleben si tratta di un metodo molto più affidabile della macchina della verità tradizionale, dato che nessuno è in grado di alterare la struttura dei propri segnali cerebrali. Si può addestrare qualcuno, entro certi limiti, a controllare il proprio battito cardiaco o la sudorazione, ma è impossibile controllare i segnali del proprio cervello. In un’epoca caratterizzata da un crescente timore di attacchi terroristici, questa tecnologia potrebbe essere di aiuto a prevenire episodi di questo genere, salvando un grandissimo numero di vite umane!

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