Rita Levi Montalcini. ll corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente.

Cerca nel sito

Altri risultati..

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Rita Levi Montalcini


Rifiutate di accedere a una carriera solo perché vi assicura una pensione. La migliore pensione è il possesso di un cervello in piena attività che vi permetta di continuare a pensare ‘usque ad finem’, ‘fino alla fine’.

Rita Levi Montalcini

 

INNAMORATA PAZZA DELLA SCIENZA

Il vocabolario Treccani, oltre alla prima definizione (“stato di alienazione, di grave malattia mentale”), dà la seguente accezione del termine follia: “atto da pazzo, cioè temerario o imprudente, che mostra scarso senno: fare, commettere delle f.; ritengo unaf. mettersi in mare con quest’uragano; e di cose che si ritengono irrealizzabili, impossibili: sarebbe una f. pretendere di vincere un simile avversario; tiene un premio Ch’era f. sperar (Manzoni)”.


Tuttavia, in quante occasioni lungo la storia dell’umanità gli atti delle donne e degli uomini sono stati classificati come imprudenti o quanti progetti sono stati ritenuti irrealizzabili e impossibili?

levi-montalcini
Nessuno oserebbe ritenere che Rita Levi-Montalcini soffrisse nessun tipo di malattia mentale e certamente non saremo noi a dirlo; tuttavia chissà quanti di quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerla pensarono che alcune delle sue azioni fossero temerarie o che alcuni dei suoi progetti fossero irrealizzabili, specialmente durante gli anni della gioventù in cui prese alcune decisioni che segnarono il suo destino in modo determinante. Sono stati più di settanta anni trascorsi a sviluppare studi, esperimenti e ricerche nate dalle sue prime intuizioni nella sua camera dell’abitazione familiare a Torino e che la portarono alla scoperta del fattore NFG (Nerve Growth Factor), una proteina essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose. Quali sono state le motivazioni che la spinsero, durate così a lungo? Dove trovava la forza che la portò a saltare i non pochi ostacoli che dovette affrontare nella prima metà del XX secolo?
Un’attenta lettura del percorso della sua vita può fornirci la risposta a queste domande,  una vita in cui ha creduto instancabilmente alle stesse cause: “L’affermazione del valore della conoscenza scientifica, la lotta contro le ingiustizie, l’amore per i giovani, destinatari elettivi e principali di tutti i valori più alti” .


In questa frase ripetuta da lei in varie occasioni “Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bisogna uscire da quella zona grigia dove tutto è abitudine e rassegnazione passiva e dove la società diventa malvagia; bisogna coltivare, soprattutto nei giovani, il coraggio di ribellarsi” si concentra parte del suo pensiero ed è il motto che la guidò quando lei stessa dovette affrontare suo padre a 19 anni per difendere la sua decisione di proseguire gli studi universitari. Adamo Levi, ingegnere elettrotecnico e matematico, uomo colto e intelligente, aveva sempre educato i suoi figli (Gino, Anna e le gemelle Paola e Rita e) nell’apprezzamento per la cultura e l’intelligenza e, insieme a sua moglie, Adele Montalcini, pittrice dilettante, li avevano cresciuti in un ambiente in cui si respirava un’educazione scientifica e artistica all’interno però di una tradizione vittoriana dove i ruoli maschili e femminili erano prestabiliti; perciò Rita aveva frequentato un liceo femminile che preparava le ragazze alla vita tradizionale come giovani mogli e madri; per le giovani non era facile accedere alla formazione superiore, riservata in esclusiva ai figli maschi: “Nel secolo scorso e nei primi decenni del Novecento, nelle società più progredite (…), due cromosomi X rappresentavano una barriera insormontabile per entrare alle scuole superiori e poter realizzare i propri talenti” (Levi-Montalcini, 1987) e le giovani erano destinate a un’educazione limitata ai saperi domestici. Lei detestava questo tipo di formazione e, a 19 anni, affrontò suo padre per chiedergli il permesso di frequentare l’università. È facile immaginare la giovane Rita maturando la sua decisione e sgranando i ragionamenti che riuscissero a convincere l’ingegnere. Chissà se ad Adamo Levi passò per la testa che sua figlia fosse una temeraria nel rifiutare la strada sicura e prestabilita che le giovani donne della sua generazione accettavano.
Riconoscendo gli aspetti in comune della loro personalità, afferma: « La mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti, lati del carattere che ritengo di aver ereditato da mio padre, mi hanno enormemente aiutato a far fronte agli anni difficili della vita».
E Rita riuscí a compiere il suo sogno di laurearsi: si preparò da privatista per ottenere la licenza liceale classica con ottimi voti ed entrò nel 1930 nella facoltà di medicina dell’Università di Torino dove ottenne la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1936.

Ti potrebbe interessare anche:  Gli Antenati dei motori di ricerca e della SEO

Purtroppo la sua promettente carriera, come quella di tanti altri ricercatori, sarebbe stata stroncata per colpa degli avvenimenti politici: nell’autunno del 1938 il governo fascista promosse il Regio decreto «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” e dal 16 ottobre 1938 al 25 aprile 1945 Levi-Montalcini (così come tutti i professionisti ebrei) viene sospesa dall’attività accademica. La famiglia di Rita era ebrea sefardita e i provvedimenti la obbligarono ad abbandonare il suo posto di assistente nella clinica delle malattie nervose e mentali che occupava dal 1º gennaio. Incerta e preoccupata sul suo futuro accettò nel marzo 1939 l’invito fatto dal professor Laruelle dell’Università di Bruxelles per poter continuare le sue ricerche in neurologia. Trovò a Liegi il suo maestro Levi, che era già emigrato in Belgio qualche mese prima.
Purtroppo, l’Europa era travolta dalle continue provocazioni naziste e l’ambiente era cupo e preoccupante. L’invasione della Polonia e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale la sorpresero in un congresso a Cophenaghen. Il pericolo e l’incertezza sulla propria sorte la spinsero a rientrare a Torino alla fine di quello stesso anno insieme alla
sorella Nina che, insieme alla famiglia, avevano cercato rifugio in Belgio. Purtroppo anche l’Italia sarebbe entrata in guerra l’anno dopo (10 giugno 1940) e Rita, sconvolta dalla drammatica situazione e amareggiata dalla proibizione di esercitare qualsiasi professione cominciava a disperare.
Nell’autunno di quello stesso anno andò a trovarla Rodolfo Amprino, ricercatore e scienziato conosciuto da Rita otto anni prima all’Istituto Anatomico. Fu lui a incoraggiarla, ricordandole l’esempio del prestigioso Ramón y Cajal, ad allestire un laboratorio come fece lo scienziato spagnolo a Valencia. Levi-Montalcini ricorda come Amprino le si raffigurò come l’Ulisse inmortalato da Dante nell’Inferno quando incoraggiava i compagni a non perdersi d’animo e guardare in avanti, verso l’orizzonte . Si lusingava pregustando la strada che stava per intraprendere, ricordandosi che se Cajal aveva provato con successo a districarsi tra la giungla delle cellule nervose, perché lei non avrebbe potuto seguire i suoi passi nella strada aperta da lui? Certamente non aveva né le attrezzature né le conoscenze appropriate per continuare gli studi del grande studioso spagnolo ma avrebbe provato con altri aspetti
ugualmente affascinanti e ancora da scoprire, iniziando dallo studio della funzione del sistema nervoso degli embrioni di pollo, facilmente procurabili e analizzabili in quanto constano di poche migliaia di cellule nervose. Entusiasta, Rita organizzò un laboratorio nella propria camera da letto. A questo nuovo laboratorio si aggregò Levi, anche lui rientrato dal Belgio. Con la tenacia che l’ha sempre caratterizzata, sostituí l’incubatrice con un termostato a circolazione d’aria. Dovette affrontare la spesa di uno stereomicroscopio e un microscopio binoculare. Tutta l’attrezzatura era completata da alcune pinze da orologiaio, delle microforbici per uso oftalmico e da aghi da cucire che trasformò in microbisturi: sembrava l’attrezzatura di un ricercatore del secolo precedente. Con questi strumenti, in camera sua, lavorò appassionatamente durante l’inverno del 1940 e la primavera del 1941 e nel 1942, per sfuggire ai bombardamenti della città, si trasferì, insieme alla famiglia, in una residenza in campagna, nell’Astigiano dove proseguí i suoi esperimenti.

Ti potrebbe interessare anche:  Python: alcune funzioni pronte all'uso per Statistica descrittiva

A distanza di anni mi sono molte volte domandata come potessimo dedicarci con tanto entusiasmo all’analisi di questo piccolo problema di neuroembrologia, mentre le armate tedesche dilagavano in quasi tutta l’Europa disseminando la distruzione e la morte e minacciando la sopravvivenza stessa della civiltà occidentale. La risposta è nella disperata e in parte inconscia volontà di ignorare quel che accade, quando la piena consapevolezza ci priverebbe della possibilità di continuare a vivere (Levi-Montalcini, 1987).

Nel 1986 Rita Levi Montalcini riceveva da mani del re Carlo Gustavo di Svezia, il Premio Nobel per la medicina condiviso con il suo collaboratore Stanley Cohen.
Entrambi furono onorati con il prestigioso premio grazie alle loro ricerche nell’ambito della neurologia. Nello specifico, tra le motivazioni specificate nella premiazione si espone: «La scoperta dell’NGF all’inizio degli anni cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo». Quel giorno la comunità scientifica internazionale riconosceva l’importanza fondamentale delle ricerche di Rita Levi-Montalcini che significavano la comprensione della crescita di cellule e organi che ancor oggi sono oggetto di studio per il trattamento di malattie come l’Alzheimer, certi tumori come quello alla mammella o la sclerosi laterale amiotrofica (SLA).
Rita Levi-Montalcini è morta a Roma il 30 dicembre 2012, all’età di 103 anni.
Nonostante avesse perso un po’ di vista e abbastanza udito visse attiva fino quasi alla fine dei suoi giorni. Lei sosteneva che il cervello, con il passare degli anni può esercitare le sue funzioni anche nella terza età perché nonostante perda alcune prerogative, le equilibra con altre che compensano quelle perdute aumentando le
ramificazioni e utilizzando cercuiti neuronali alternativi (Levi-Montalcini, 1998).

Ti potrebbe interessare anche:  La produzione: Le rette di isocosto spiegate “facile, facile”

Senza dubbio lei ne è un chiarissimo esempio.

(36)