Uomini dietro le macchine

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Uomini e macchine


“Sei fortunato a non essere un mio studente. Non prenderesti un buon voto per questo progetto”

Email del 1991 inviata da Andrew Tanenbaum a Linus Torvalds, che aveva appena annunciato il suo progetto per la creazione del sistema operativo GNU/Linux.

 

Matematicaoltre: GoogleTra le formule della teoria cinetica dei gas avrete sicuramente incontrato la lettera K, che a prima vista sembra solamente una costante numerica utilizzata per calcolare il legame tra la pressione, il volume e la temperatura di un gas, ma in realtà è un simbolo che racchiude il senso della vita di un uomo.


Anche la scienza ha avuto i suoi martiri, e Ludwig Boltzmann è stato uno di questi. Una conquista scientifica come il calcolo della“costante di Boltzmann” può essere pagata con la vita, e la storia non è segnata solo da battaglie e da conquiste militari, ma anche da persone cadute sotto il peso della propria genialità.


Dovete sapere che:

La teoria cinetica molecolare di Boltzmann fu ferocemente attaccata, al suo apparire, dai più famosi scienziati dell’epoca. L. Boltzmann scrisse: “sento di essere soltanto un povero individuo che lotta con deboli forze contro la corrente del mio tempo”; nel 1906 si suicidò. Tre anni dopo, i lavori di Jean Perrin sul moto browniano segnarono l’inizio del riconoscimento della validità e della portata universale della legge di Boltzmann.

Non ho mai smesso di chiedermi quali fossero i volti, le storie e le vite nascoste dietro le formule e i teoremi che mi guardavano freddamente dalle pagine dei libri.

Ho così scoperto che dietro lo sviluppo dell’informatica, dell’elettronica e delle telecomunicazioni, tecnologie che oggi sono indispensabili per molte delle mie attività quotidiane, ci sono personaggi come Charles Babbage, che dopo aver inventato il primo calcolatore meccanico è morto in disgrazia, giudicato pazzo dai suoi contemporanei; Alan Turing, che dopo aver sviluppato il modello concettuale dei moderni calcolatori si è suicidato per le persecuzioni subite a causa della sua omosessualità; Phillip Katz, ritrovato cadavere in un albergo accanto a bottiglie vuote di liquore dopo aver consegnato alla storia il programma Pkzip e il neologismo“zippare”, che non sono bastati a salvarlo da una fine ingloriosa.

Scoprendo i percorsi biografici dei pionieri dell’elettronica, dell’informatica e delle telecomunicazioni, ho scoperto anche che la storia della scienza è costellata di luoghi comuni e che non sempre i nomi più famosi associati ad una invenzione corrispondono a quelli dei reali artefici di un salto tecnologico.Durante questo viaggio nel tempo, con mio grande stupore e sorpresa, ho scoperto che Samuel Morse non ha inventato il telegrafo, Thomas Edison non ha inventato la lampadina, Alexander Bell non ha inventato il telefono, Guglielmo Marconi non ha inventato la radio, Bill Gates non ha inventato l’MS-Dos, o almeno non l’hanno fatto secondo il senso e l’accezione comune che diamo al termine “invenzione”.

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Le creature di Morse, Edison, Bell, Marconi e Gates, infatti, non sono delle idee totalmente innovative, concepite a partire dal buio scientifico o piombate all’ improvviso come folgorazioni, ma sono solamente il perfezionamento di tecnologie già esistenti e abbozzate dai loro veri inventori, personaggi rimasti nell’ombra e spesso addirittura sconosciuti. Molte conquiste tecnologiche sono avvenute al di fuori della scienza ufficiale, e hanno visto la luce solamente grazie alla lucida follia di alcuni uomini estrosi, che ai nostri tempi sarebbero probabilmente condannati ad una vita marginale e guardati con un sorriso di compassione benevola, persone curiose e geniali che senza nessun suggerimento o stimolo precedente hanno provato a giocare con la corrente elettrica, i campi elettromagnetici e i circuiti elettronici, magari senza sapere esattamente cosa sarebbe accaduto con i loro esperimenti. Quelli che agli occhi della storia (e dell’opinione pubblica) sono stati consacrati come “gli inventori di…” in realtà sono stati solamente dei perfezionatori di strumenti già esistenti in embrione, che hanno preso per mano queste tecnologie bambine e le hanno fatte camminare con le proprie gambe, aggiungendo un tocco di intraprendenza e ingegno personale che ha trasformato invenzioni ancora primitive in strumenti tecnici efficaci, e soprattutto commercializzabili su vasta scala. Non è un caso, allora, se nella nostra memoria collettiva i nomi che sono rimasti più impressi sono quelli di Morse, l’artefice della prima rete telegrafica degli Stati Uniti; Edison, che ha perfezionato la lampadina con accorgimenti tecnici che hanno prolungato la durata dei bulbi luminosi di quel tanto che bastava per trasformarla in un bene di consumo; Bell, che al pari di Morse ha creato la prima rete telefonica mondiale sulla quale i grandi affaristi americani hanno iniziato a scambiarsi informazioni; Marconi, che ha studiato la trasmissione delle onde elettromagnetiche, già sperimentata da altri prima di lui, e ha imbrigliato queste onde per realizzare i primi sistemi di comunicazione a distanza basati sulla propagazione delle onde; William Gates, che grazie ad un fortunato accordo commerciale con Ibm è stato coinvolto nella realizzazione di un computer destinato a diventare uno standard di fatto per l’utenza domestica e ha raccolto i frutti seminati dai pionieri dell’informatica della Silicon Valley. La classica immagine dello scienziato, che a partire da zero realizza un’innovazione tecnologica diventando ricco e famoso grazie alla sua scoperta, nella maggior parte dei casi non corrisponde alla realtà. I reali artefici di un salto generazionale nella storia della scienza hanno spesso pagato sulla propria pelle il prezzo di questo salto, vivendo in miseria e lasciando ad altri il compito di trasformare le loro idee innovative in una gallina dalle uova d’oro. Se oggi siamo in grado di scrivere queste parole utilizzando uno strumento elettronico poco più grande di un libro, memorizzandole in uno spazio di pochi centimetri quadrati e trasmettendole a distanza sui fili del telefono attraverso una rete planetaria di calcolatori interconnessi, non devo ringraziare personaggi ricchi e famosi, ma principalmente i pionieri dell’informatica e delle telecomunicazioni, molti dei quali hanno concluso la loro carriera nell’ anonimato, o peggio ancora in miseria o in disgrazia. Un altro luogo comune da sfatare è la diffusa convinzione che la linea di sviluppo dell’elettronica, dell’informatica e delle telecomunicazioni sia stata determinata unicamente da considerazioni di carattere tecnico-scientifico. In realtà il percorso  una tecnologia a entrare nella vita quotidiana di migliaia di persone, si intreccia anche con complessi meccanismi sociali e culturali. La storia della scienza è costellata da scoperte e invenzioni che si sono affermate solamente quando la società e la cultura accademica del tempo sono state in grado di apprezzare la portata e i benefici dei nuovi paradigmi e delle nuove visioni tecnologiche che accompagnavano ogni innovazione. Nessuna conquista è puramente scientifica, ma porta con sé anche un approccio culturale, una visione del mondo e una prospettiva rivoluzionaria che si intrecciano inevitabilmente con la novità tecnica, e che rendono ogni invenzione assolutamente inutile se non trova un contesto sociale e culturale pronto ad accogliere questa nuova scoperta e a farla propria. Sono molti gli esempi di tecnologie disadattate che hanno dovuto aspettare anni per diventare un patrimonio collettivo della comunità scientifica. Il calcolo meccanico di Charles Babbage, ad esempio, è stato considerato per molte decadi come la stravaganza di un matematico eccentrico, fino a quando, centosettant’anni più tardi, la tecnologia meccanica si è evoluta al punto da dimostrare che il pensiero di Babbage era solamente troppo avanzato per la sua epoca. Perfino una tecnologia abbastanza recente come la commutazione di pacchetto, che oggi è alla base di tutte le moderne reti telefoniche, dei sistemi di trasmissione dati e della stessa Internet, è rimasta chiusa per anni nel cassetto dei suoi inventori, Paul Baran e Donald Davies.  Anche in questo caso una visione scientifica troppo avanzata per l’epoca in cui è stata concepita si è scontrata con l’inerzia culturale delle grandi compagnie telefoniche, ancora incapaci di concepire un mondo nel quale la voce viene trasformata in cifre binarie e spezzettata in tanti piccoli pacchetti di dati. Anche dopo l’adozione ufficiale di una tecnologia, il suo percorso di crescita e sviluppo non è univocamente determinato, e viene guidato anche da fattori esterni di tipo ambientale, sociale e culturale. Dopo la fase della scoperta, aperta dai pionieri e successivamente affidata alla comunità scientifica, è la società ad appropriarsi delle invenzioni ed è nella società che nascono, e spesso si scontrano, diverse visioni e interpretazioni della tecnologia, viziate da condizionamenti politici e commerciali. È per questo che oggi lo studio delle tecnologie dell’informazione e della loro evoluzione storica non può prescindere dallo studio del contesto culturale nel quale queste tecnologie nascono e si sviluppano, e non si può parlare di informatica senza interrogarsi sui benefici e gli svantaggi dei due approcci culturali e filosofici che stanno attualmente guidando lo sviluppo tecnologico: il modello “proprietario” e il modello “libero”. Questi modelli di sviluppo e di ricerca sono caratterizzati da un approccio diametralmente opposto a questioni delicate e cruciali come il copyright, i brevetti e i diritti di sfruttamento economico delle invenzioni. Il modello proprietario è caratterizzato dall’ applicazione al mondo delle idee, della cultura e delle opere dell’ ingegno di un concetto base dell’economia tradizionale: il valore di un bene è determinato dalla sua scarsità. L’applicazione di questo principio economico a beni immateriali come un algoritmo,una sequenza di note musicali o un protocollo di comunicazione tra computer ha come conseguenza una visione repressiva del copyright, la tassazione di ogni forma di utilizzo o duplicazione delle opere dell’ingegno, e un lavoro incessante di monitoraggio e controllo per reprimere e sanzionare qualunque utilizzo di questi beni immateriali a cui non corrisponda un immediato vantaggio economico per i loro inventori.  A questa visione economicista della scienza se ne contrappone un’altra, basata su un concetto completamente diverso: nella società dell’informazione il valore di un bene immateriale, concettuale o artistico è determinato dalla sua diffusione. Un libro,un brano musicale, un programma, un protocollo di comunicazione hanno un valore proporzionale al numero di persone che conoscono e utilizzano quel testo, quella musica, quel programma o quel protocollo. Un brano bellissimo di un musicista sconosciuto vale meno di un pezzo meno bello, ma scritto da un artista famoso in tutto il mondo, e questo ragionamento si potrebbe estendere a qualunque forma di valore immateriale. Applicando questo principio cade la necessità di tassare ogni forma di distribuzione delle opere dell’ingegno, perché la condivisione di arte e conoscenza, anche quando avviene in forma spontanea o gratuita, è un ottimo sistema, e probabilmente il migliore, per produrre vantaggi che vanno a beneficio degli autori e al tempo stesso ricadono su tutta l’umanità. 

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