Alan Turing

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Alan Touring


Alan Turing

 

“Potremmo anche immaginare una macchina calcolatrice che viene fatta lavorare con una memoria basata sui libri. Non sarebbe molto facile, ma immensamente preferibile a un singolo lungo nastro. Per pura ipotesi supponiamo che le difficoltà implicite nell’uso di libri come memoria siano superate, cioè che si riesca a sviluppare gli artifici meccanici necessari per trovare il libro giusto, aprirlo alla pagina giusta e così via, imitando l’azione delle mani e degli occhi umani. Non si può girare una pagina molto velocemente senza strapparla, e se gli spostamenti dovessero essere numerosi e veloci, l’energia richiesta sarebbe molto grande. Se muovessimo un libro ogni millisecondo e ciascuno fosse mosso di dieci metri e pesasse 200 grammi, e se ogni volta l’energia cinetica fosse dispersa senza recupero, dovremmo consumare 10^10 watt, pari a circa la metà del consumo di energia della nazione. Per avere una macchina davvero veloce, allora, dobbiamo tenere la nostra informazione, o almeno una parte di questa, in una forma più accessibile di quella che può essere ottenuta con i libri. Sembra che questo risultato possa essere ottenuto solo al prezzo di sacrificare compattezza d economia, cioè tagliando le pagine dal libro e presentando ciascuna a un meccanismo di lettura separato. Alcuni dei metodi di memorizzazione che sono sviluppati ai giorni nostri non si allontanano molto da questo modello.”

Alan Turing Mechanical Intelligence: Collected Works of A.M. Turing

 

Il matematico inglese, criptanalista e padre dell’informatica, Alan Mathison Turing, rientrava perfettamente nello stereotipo dello scienziato mentalmente assente e sciatto. Era balbuziente e trasandato nel vestire e nell’igiene personale: portava la giacca del pigiama al posto della camicia, la sua barba era sempre lunga e le unghie spesso sporche. Infantile (a 22 anni si fece regalare per Natale un orsacchiotto di pezza), anticonformista per natura, antiaccademico (il che spiega il motivo per cui a 36 anni era ancora un assistente universitario), era un tipo solitario. E questa tendenza a lavorare in solitudine lo portò a scoprire teoremi che, a sua insaputa, erano già stati scoperti e dimostrati da altri (capitò con il “teorema del limite centrale”, dimostrato da Lindeberg nel 1922 e riscoperto da Turing nel 1934, con il “problema della decidibilità” risolto in anticipo dal logico statunitense, Alonzo Church, e con lo sviluppo in serie di arctanx che J. Gregory aveva descritto nel 1668, battendo d’anticipo di due secoli Turing).


Socialmente aveva grosse difficoltà a comunicare con le persone, cosa aggravata dal fatto che ignorava tutti quelli considerati intellettualmente inferiori (non sopportava gli sciocchi e, di conseguenza, abbandonava le compagnie idiote e le conversazioni vuote immediatamente, e senza una parola di scusa o di commiato). Legava la tazza da tè al termosifone con il lucchetto, per evitare che gli fosse sottratta o rubata, e pretendeva di poter lavorare quando si sentiva di farlo (in particolare, di notte e fuori dell’orario d’ufficio). Disprezzava la separazione tra “atleti” ed “esteti”, tradizione di Cambridge, nutrendo dall’adolescenza fino alla morte una forte passione per la bicicletta e per la corsa (mostrando che attività intellettuale e attività fisica non erano tra loro incompatibili). Si massacrava più volte alla settimana con interminabili corse mantenendosi in forma con una mela che mangiava sempre prima di andare a letto. Durante il periodo dell’impollinazione, per evitare la febbre da fieno, andava in bicicletta con la maschera antigas, e durante la stagione delle piogge, avvolto in tela cerata gialla. Gettava nel cestino le lettere della madre senza mai leggerle, sostenendo che ella stava senza dubbio benissimo. Effettuava calcoli con numeri in base 32 scritti all’indietro (come si dovevano inserire nel computer), anche nel corso delle conferenze pubbliche. Giocava a tennis nudo sotto un impermeabile, e una volta discusse con un bambino se Dio avrebbe preso il raffreddore se si fosse seduto sulla nuda terra. All’inizio della Seconda guerra mondiale, convertì quasi tutti i suoi averi in lingotti d’argento che seppellì in un bosco presso Bletchley, in un modo talmente sicuro da non riuscire più a ritrovarli dopo la fine della guerra, nonostante l’uso di un metal detector. Apertamente omosessuale, fu arrestato nel 1952 per atti osceni e non incarcerato con la condizione che si sottoponesse ad una cura ormonale per “correggere” la sua omosessualità.


Prostrato e umiliato, il 7 giugno 1954 si suicidò mordendo la sua solita mela, questa volta addizionata con cianuro. La morte di Turing fu ritenuta un suicidio, sebbene sua madre si opponesse strenuamente a tale ipotesi, ritenendo che il figlio, notoriamente distratto, avesse involontariamente contaminato l’alimento con la sostanza chimica, nel corso dell’ennesimo esperimento chimico da “alchimista”, finito male. Altri fecero notare la somiglianza della sua morte con l’episodio narrato nella favola di Biancaneve, la fiaba preferita da Turing.

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”Can machines thinks?”, Possono pensare le macchine? 

Il Test di Turing.

”Possono pensare le macchine?”, è questa la domanda che pone all’attenzione Alan Turing nel suo articolo Computing machinery and intelligence del 1950 pubblicato sulla Rivista Mind. Una domanda a cui è difficile dare una risposta, se non si è prima definito il significato dei termini macchina e pensare. E questo il motivo che portò Turing ad ideare un esperimento concettuale, un Gedankenexperiment, per stabilire se una macchina sia, o meno, in grado di pensare. Il test di Turing è una variazione del ”gioco dell’imitazione”. Nella versione originale del gioco i partecipanti sono tre: un uomo A, una donna B e un esaminatore C. L’esaminatore C, che può essere uomo o donna indifferentemente, si trova in una stanza separata dagli altri  partecipanti. Lo scopo del gioco per l’esaminatore è quello di determinare quale degli altri due partecipanti è l’uomo e quale la donna. Egli conosce i partecipanti con due etichette X e Y e alla fine del gioco darà la soluzione ”X è A e Y è B” o la soluzione ”X è B e Y è A”. Lo scopo di A è quello di ingannare C e fare in modo che dia una identificazione sbagliata. B ha, invece, il compito di aiutare l’esaminatore. Per determinare la risposta l’esaminatore si può basare solo su una serie di domande poste ad A e B. Per non far sì che il tono di voce o la scrittura possano influenzare l’esaminatore, le risposte possono essere battute a macchina, o, in alternativa, si potrebbe mettere in comunicazione le due stanza tramite una telescrivente. Un’altra opportunità è quella di far ripetere domande e risposte da un intermediario. A questo punto Turing immagina di sostituire ad A una macchina e pone una domanda: ”L’interrogante darà una risposta errata altrettanto spesso di quando il gioco viene giocato tra un uomo e una donna?”. Quest’ultima domanda quindi sostituisce la domanda originale: ”Possono pensare le macchine?”.
L’ultima versione del gioco dell’imitazione proposta da Turing ha il pregio di fornire una soddisfacente definizione operativa di intelligenza senza fare alcun riferimento ai termini macchina e pensare, così facendo si evitano le difficoltà riguardanti il significato di queste parole. L’utilità di questo esperimento non sta tanto nella risposta che può fornirci, ”quanto alla possibilità che esso offre di analizzare concetti come mente, pensiero e intelligenza.

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Turing credeva che entro la fine dello scorso secolo sarebbe stato possibile programmare calcolatori, con una capacità di memorizzazione di circa 109, in modo tale che potessero giocare così bene il gioco dell’imitazione che un esaminatore medio non avrebbe avuto più del 70% di probabilità di compiere l’identificazione corretta, dopo 5 minuti di interrogazione. Inoltre, sosteneva che entro 50 anni sarebbe talmente mutato l’uso delle parole, macchina e pensare, e l’opinione a esse associata, che chiunque avrebbe potuto parlare di macchine pensanti senza il pericolo di essere contraddetto.

 

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