La creazione di un modello matematico

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Le scienze non cercano di spiegare, a malapena tentano di interpretare, ma fanno soprattutto dei modelli. Per modello s’intende un costrutto matematico che, con l’aggiunta di certe interpretazioni verbali, descrive dei fenomeni osservati. La giustificazione di un siffatto costrutto matematico è soltanto e precisamente che ci si aspetta che funzioni – cioè descriva correttamente i fenomeni in un’area ragionevolmente ampia. Inoltre esso deve soddisfare certi criteri estetici – cioè, in relazione con la quantità di descrizione che fornisce, deve essere piuttosto semplice.

John von Neumann

Galileo Galilei e Isaac Newton, i due grandi fondatori della scienza fisico-matematica moderna, non avrebbero in alcun modo sottoscritto i concetti contenuti nel brano di John von Neumann (uno dei massimi scienziati del Novecento) che potete leggere in epigrafe. Secondo Galileo, l’essenza del mondo «è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (e dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, a conoscer i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi e altre figure geometriche senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto» (Galilei, 1623, p. 232). In altri termini, “il mondo è matematico”, esso è stato scritto (da Dio) in linguaggio matematico, e chi lo conosce è in grado di comprenderlo.

Newton va oltre e pensa sé stesso come una sorta di nuovo profeta, una sintesi di Mosè e Pitagora che, con lo strumento della matematica, apre la strada alla comprensione dei segreti dell’universo e avvicina alla conoscenza della Prima Causa, ovvero di Dio.


Sia Galileo che Newton erano convinti che fosse un compito perfettamente perseguibile della scienza spiegare e interpretare il mondo, e per entrambi lo strumento chiave in tal senso era la matematica.

E allora perché mai abbiamo citato von Neumann?

La risposta è semplice; perché questo – e non quello di Galileo e di Newton – è il punto di vista che domina nella scienza moderna, anche se paradossalmente l’uso della matematica si è esteso in modo impressionante, anche ad ambiti cui i due grandi fondatori non avrebbero mai pensato. Pur nello scetticismo che pervade la sua dichiarazione circa i limiti d’intervento della scienza, von Neumann è convinto che la matematica sia lo strumento migliore in assoluto per descrivere e prevedere i fenomeni ed è fautore di un vero e proprio programma “panmatematico”. Ancor oggi molti continuano a ripetere che “il mondo è matematico”.

Poiché lo scopo di questa chiaccherata è introdurre  il modo in cui la matematica interviene nello studio dei fenomeni reali, l’approccio più coerente è di farlo attraverso esempi relativamente più moderni (per quanto consente il vincolo della semplicità) e quindi interni a una visione come quella di von Neumann, che possiamo definire come modellistica. Come si è detto, ormai il campo dei fenomeni “matematizzati” – ossia studiati in termini quantitativi, matematici – è sterminato e ci vorrebbero centinaia di pagine per una presentazione organizzata che, a quel punto, diverrebbe pesante e difficile.

Cosa si potrà fare allora?

Dare un’idea introduttiva dei problemi e dei metodi cui ricorre la matematica quando si propone di studiare i fenomeni reali secondo l’approccio in termini di modelli matematici. E poiché non potremo seguire né un’impostazione informativa né tecnica, seguiremo un approccio culturale. Ciò significa che tenteremo di illustrare i principali problemi di ordine concettuale nonché la loro collocazione e origine storica. Ho detto illustrare, perché il modo che mi sembra migliore per affrontare questi problemi tanto complessi e difficili è quello della scelta di pochi esempi significativi e rappresentativi. Esempi, cioè, che racchiudono in sé buona parte dei problemi tipici che si presentano nella costruzione e nella verifica di un modello matematico. E si tratterà di esempi semplici, che possano essere compresi con un bagaglio tecnico minimo, talmente modesto da poter introdurre a parole le pochissime formule matematiche che useremo. Naturalmente la matematica ricorre a un livello di sofisticazione tecnica di ben altro livello.

Esamineremo una serie di esempi la cui descrizione matematica è comprensibile da chiunque, alla sola (ovvia!) condizione di mettere impegno nel seguire i ragionamenti. Gli esempi saranno seguiti da un’esposizione dettagliata di alcuni fra i problemi concettuali che accompagnano la costruzione di un modello matematico.





Un primo esempio:

la legge di crescita malthusiana di una popolazione

Supponiamo che sia nato in noi il desiderio di sapere come varia (cioè, come aumenta o diminuisce) la popolazione del nostro paese o di un continente o dell’intero globo.

“Quanti saremo nell’anno 2050 o nell’anno 2500 in Italia, in Europa, in Asia, sulla Terra?”

è la domanda cui vorremmo poter dare una risposta. Vorremmo cioè conoscere una legge, una “legge scientifica”, che descriva le tendenze fondamentali della variazione di una popolazione e che permetta di prevederle; così come è possibile prevedere fra quanto tempo giungeremo in una data località viaggiando verso di essa a una velocità costante o variabile e come è possibile prevedere, mediante calcoli, molte altre cose assai complesse.

Prima di procedere ci rendiamo però subito conto della necessità di delimitare con precisione il campo della nostra ricerca. Il problema può essere infatti affrontato in modi diversi, più o meno raffinati. Potremmo essere interessati a distinguere, nella nostra legge di crescita, i maschi dalle femmine; oppure a conoscere la velocità di crescita in diverse fasce di età e prevedere le future distribuzioni d’età. Potremmo voler rispondere a domande specifiche, del tipo: “La popolazione umana tende a invecchiare e, in caso affermativo, con quale ritmo? Quale sarà fra venti o trenta anni la percentuale della popolazione femminile sul totale?”, e così via. Queste domande eccitano la nostra curiosità ma complicano enormemente il problema. Delimitiamo quindi radicalmente, almeno per ora, il nostro fine: vogliamo conoscere la legge di variazione di una popolazione, considerata come un insieme indifferenziato di individui. Vogliamo cioè sapere quali saranno gli effetti che la capacità riproduttiva e la capacità di adattamento all’ambiente hanno sullo sviluppo numerico di questa popolazione, trascurando un’analisi più dettagliata. Delimitando così il nostro fine abbiamo compiuto un passo importante: in effetti, abbiamo identificato quel che ci interessa conoscere. Ciò consente di mettere un piede dentro la matematica: difatti, quel che vogliamo è conoscere un numero, anzi tanti numeri, un numero per ogni istante temporale. Pretendiamo addirittura di dire quanti saranno e quanti furono gli esseri umani in ogni istante; e ciò non sulla base di tabelle statistiche (che, ovviamente, per i tempi futuri non sono disponibili!), ma sulla base di una legge matematica. Quindi questa legge deve fornire, mediante calcoli, un numero per ogni istante di tempo. Indichiamo con il simbolo N questo numero (N è, per esempio, il numero degli abitanti del globo). N però non è un numero ma il “simbolo” di un numero che varia nel tempo. Anche il tempo, lo sappiamo bene, può essere contato con numeri, basta fissare un’“unità” di misura (gli anni, i secoli ecc.). Con sempre maggiore confidenza per i simboli matematici, scriveremo allora N(t) e questo simbolo può essere così spiegato: “N(t) è il numero degli individui della popolazione nell’istante di tempo t”. Per esempio, se l’unità di misura temporale è l’anno, N(1890) rappresenta il numero degli esseri umani nell’anno 1890 e N(2050) il numero (per ora a noi sconosciuto) degli esseri umani nell’anno 2050.

N(t) è quel che i matematici chiamano una “variabile” funzione di un’altra variabile, in questo caso del tempo: infatti il numero N varia in funzione dell’istante di tempo t considerato. Si può anche dire che N è “funzione” del tempo. Il nostro problema è proprio quello di determinare la legge secondo la quale N varia in funzione di t. Questa legge potrebbe essere la più banale: N resta lo stesso, cioè resta costante, per ogni istante di tempo t. Scriveremo in tal caso: N(t) = costante e diremo che N(t) è una “costante”. Per esempio N(t) = 3.000.000.000, a ogni istante t, vuol dire che la popolazione mondiale è sempre stata, è, e sarà sempre composta di tre miliardi di individui. I decessi e le nascite si compensano esattamente in modo da mantenere il numero costante.

Questa è una legge e per giunta assai semplice, ma purtroppo evidentemente falsa. È falsa non perché sia scritta male o in modo assurdo ma perché è in stridente contrasto con tutti i fatti noti. E a nessuna persona ragionevole interessano le leggi false, anche se scritte in forma matematica.

A questo punto, privi come siamo di qualsiasi nozione, la nostra avventura rischia di interrompersi. Come ricavare la legge desiderata? Comprendiamo subito che non è possibile procedere a caso, ma occorre fondarsi sulle solide basi di ciò che è già noto. Converrà dunque volgere lo sguardo verso il passato e studiare le statistiche riguardanti lo sviluppo delle popolazioni. La nostra speranza è quella di scoprire, attraverso questo studio, che le popolazioni variano sempre più o meno nello stesso modo, di scoprire, cioè, delle uniformità di comportamento. Queste uniformità di comportamento potranno allora essere tradotte in una legge. Se riusciremo in questo ambizioso obiettivo potremo anche fare l’ipotesi che la nostra legge valga non soltanto per il passato ma anche per il futuro. La verifica della bontà della nostra ipotesi sarà affidata agli anni futuri… Tuttavia potremo ritenere la nostra legge affidabile se essa sarà in accordo con gran parte dei dati conosciuti circa l’evoluzione passata e inoltre se è ragionevole prevedere che nel futuro non cambieranno troppo le condizioni entro cui si è verificato lo sviluppo della popolazione considerata.

Per incamminarci su questa via, proviamo a ragionare su qualche semplice insieme di dati. I volumi annuali di aggiornamento dell’Enciclopedia Britannica, per esempio, forniscono una serie di stime sul numero dei cittadini italiani. Scegliamo il periodo che va dal 1971 al 1981. I dati relativi a questo periodo sono riportati qui sotto.

Popolazione italiana nel periodo 1971-81

Popolazione italiana nel periodo 1971-81

Le cifre pongono subito nuovi problemi. In primo luogo non vi sono dati per il 1974. Ma soprattutto si constata che il dato relativo al 1971 è preciso fino alle unità, altri sono evidentemente approssimati alle centinaia e altri ancora alle migliaia. È probabile che il primo dato sia il frutto di un censimento. Ma gli altri? Sono il frutto di censimenti grossolani? Condotti con quali metodi, visto che il margine d’errore è diverso? Oppure sono il frutto di stime ricavate mediante una legge proprio del tipo di quella che andiamo cercando? Intuiamo allora quanto sia avventato mettere sullo stesso piano dati ottenuti in modi diversi (e non noti) e ci guardiamo bene dal complicare le cose riempiendo la casella vuota del 1974 con un dato ricavato da un’altra fonte. Ci si spalanca di fronte una selva di problemi delicati e complessi: problemi relativi al modo con cui si ottengono i dati statistici, alla legittimità di certe approssimazioni, e così via.

Comprendiamo che servirebbe una mole di dati ben maggiore, estesa a un periodo più ampio. È anche chiaro che non ha senso restringersi al solo caso della popolazione italiana, ma che si dovrebbe confrontarlo con molti altri casi. E dovremmo conoscere l’origine di tutti i nostri dati e la loro attendibilità. Occorrerebbe insomma un lavoro di analisi dei dati superiore alle nostre forze.

Limitiamoci, per ora a generare una rappresentazione grafica ai nostri dati.

Popolazione italiana nel periodo 1971-81 istogramma

In definitiva, abbiamo ottenuto una sequenza di punti che rappresenta graficamente la nostra tabella e che va sotto il nome di “istogramma”. L’istogramma illustra con notevole efficacia visiva l’andamento della popolazione. Questo andamento appare dapprima in rapida crescita e poi in crescita sempre più lenta, tanto da far sospettare che la popolazione tenda verso uno stato stazionario.

Per “vedere” meglio questa tendenza siamo tentati di collegare i punti mediante segmenti di retta, o ancor meglio, con una curva priva di angolosità, che suggerisce un andamento molto regolare e privo di sbalzi.

Popolazione italiana nel periodo 1971-81 curva di crescita
Fig. 2

Questa operazione del tutto spontanea ha un senso: è ben vero che le due “curve continue”  (i matematici del Settecento chiamavano continua una curva che si può disegnare senza staccare mai la penna dal foglio) mostrano con maggiore chiarezza l’andamento del fenomeno in esame, più di quanto non lo mostrino i dieci punti della nostra tabella. Ci attendiamo, infatti, che il matematico, incallito conoscitore di curve e
funzioni, non appena vista la nostra curva, “la riconosca”, più o meno come un esperto entomologo sa riconoscere ogni tipo d’insetto. E ci attendiamo quindi che egli ci dica come potrebbe proseguire quel tipo di curva “dopo”: il che è quanto enunciare la legge del fenomeno che consente di prevedere l’andamento futuro. Non abbiamo in fondo tutti i torti, perché è più o meno così che si procede. Però lo zoo delle curve è infinito e il matematico non sarà in generale capace di darci una risposta pronta e sicura: gli saranno necessari molti dati in più e uno studio accurato per ottenere tutt’al più risultati attendibili.

Il punto cruciale che ci preme sottolineare è tuttavia un altro. Se il nostro matematico è, almeno in linea di principio, in grado di ricavare qualche conclusione dal nostro grafico, ciò accade perché noi, tracciando una curva continua, gli abbiamo offerto una massa di informazioni immensamente più grande di quella costituita dai dieci punti. La curva fornisce infatti non dieci ma infinite informazioni! Per ogni punto compreso fra 1971 e 1981, e cioè per ogni istante temporale compreso fra queste due date, essa dice qual è il
numero degli individui della popolazione. È sufficiente che la scala sia abbastanza grande per determinarlo in modo semplice. Per esempio, per conoscere il numero di individui al 30 gennaio 1976 basterà dividere l’intervallo compreso fra 1976 e 1977 in 365 parti e, individuata la trentesima tacca, tracciare una retta verticale passante per essa. Il punto d’incontro con la curva darà il numero cercato.
Cosa è accaduto? Come mai possediamo ora tante informazioni? Il fatto è che, quando abbiamo collegato in modo continuo i punti con segmenti o tratti di curva, abbiamo implicitamente deciso che nel periodo compreso fra due rilevazioni (e cioè nell’anno) la popolazione è cresciuta secondo la legge descritta dal segmento o dal tratto di curva congiungente.

E se le cose fossero andate diversamente?

Ora  che il dubbio è sorto, comprendiamo quanto siamo stati avventati: i punti possono essere collegati in infiniti modi!

Alcune possibili curve di crescita della popolazione italiana nel periodo 1971-81 Fig.3

Il nostro matematico, posto di fronte a queste curve, dirà ancora che la popolazione, nel lungo periodo, tende a crescere in modo sempre meno veloce, ma aggiungerà che tale crescita si accompagna a fluttuazioni di notevole ampiezza. Come si vede le conclusioni tratte sono assai diverse.

Il collegamento(o “interpolazione”) dei punti è quindi un’operazione estremamente delicata.

Ma – si dirà – che ragione c’è di ritenere che la popolazione italiana sia cresciuta in modo diverso da quanto indica la FIG.2 ? Nel decennio in esame non vi sono state epidemie catastrofiche, né stragi o guerre e non risulta che i fenomeni di emigrazione o immigrazione abbiano influito significativamente o abbiano avuto un andamento irregolare.
Quindi, l’interpolazione è sostanzialmente corretta. Ciò è probabilmente vero. Ma per giustificare la nostra ardita ipotesi bisognava proprio tener conto di considerazioni del genere!
Poiché è assurdo pensare non soltanto a censimenti ma anche a stime di una popolazione tanto numerosa su intervalli di tempo inferiori all’anno, l’operazione di interpolazione è, come si diceva, necessaria. Tuttavia, perché sia corretta si deve disporre del massimo di giustificazioni possibile a sostegno del modo in cui compiamo tale operazione. Quindi, anche se in questo caso usciamo indenni dalla critica, abbiamo appreso una lezione: occorre fare molta, molta attenzione!!

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