Il Futurismo, Marinetti è il precursore degli SMS e degli emoticons?

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L’Europa dell’Ottocento

Il XIX secolo è un secolo di grandi trasformazioni sociali e di sviluppo economico.
Si verificano grandi progressi nell’ambito della scienza e della tecnologia, vengono inventate nuove macchine per facilitare e rendere più produttivo il lavoro in fabbrica, vengono costruiti nuovi mezzi di trasporto, primo fra i quali la ferrovia.
In tutta Europa si diffondono le idee di libertà, uguaglianza e fratellanza, sostenute dalla rivoluzione francese. L’Europa è teatro di rivoluzioni sociali e agitazioni.
A seguito della rivoluzione industriale avvenuta in Francia e in Germania, a partire dal 1850, nascono i movimenti dei lavoratori che rivendicano il riconoscimento e la salvaguardia dei diritti del lavoro, in particolar modo del lavoro in fabbrica.
Negli stessi anni sorgono in Gran Bretagna le prime ‘Unions’, le unioni nazionali, le prime vere forme di rappresentanza sindacale, con lo scopo di salvaguardare e tutelare le condizioni di vita dei lavoratori.
A livello sociale attraverso le unioni sociali, si creano punti di incontro e confronto dove le masse operaie possano condividere e trovare risposte ai problemi e alle difficoltà. Gradualmente la classe operaia sviluppa sempre più consapevolezza politica e reclama il diritto al suffragio universale.
Il potere della Chiesa viene sostituito dalle nuove scoperte in campo scientifico e dalla ragione: il progresso è la “religione generale dei tempi moderni”.
In questo secolo la società muta notevolmente: la popolazione europea, che si concentra principalmente nelle grandi città e i centri industriali, raggiunge a fine secolo 390 milioni di individui, un quarto della popolazione del pianeta.
La protagonista di questo periodo storico è dunque la “massa”, la “folla”: l’individuo, il singolo si trova confuso all’ interno dei grandi numeri e perde la sua specifica identità in una società che si presenta sempre più come una società di massa.
Il secolo si conclude nel 1900, anno in cui viene allestita l’Expo di Parigi, che si svolge in nome del progresso.




Il quadro storico del Futurismo

Quando nasce il Futurismo, l’Europa sta vivendo una vera e propria trasformazione economica, sociale, politica e culturale.
Gran parte del globo, in particolar modo l’Africa, è dominata dalle potenze europee.
Allo stesso tempo Germania e Gran Bretagna si fronteggiano: è in atto una corsa agli armamenti, la quale si concentra nell’espansione della flotta navale: si costruiscono navi sempre più grandi e potenti.
Grazie alla rapida crescita economica le città e i piccoli centri urbani vengono progressivamente elettrificate, i trasporti come tram, bus e metropolitane fanno ormai parte del quotidiano. L’industria usa dinamo e turbine sempre più potenti, accelerando così la produzione.
Anche il campo della comunicazione vive una notevole fase evolutiva: il telegrafo senza fili, la radio e le prime cineprese cambiano completamente la percezione delle distanze e del tempo, “avvicinando” persone e continenti.
Ulteriori fattori che contribuiscono ad alimentare questa ‘nuova religione della velocità’ è l’invenzione dell’automobile: le prime automobili si vendono già a partire dal 1900, ma la prima automobile di massa, la Ford T, viene prodotta a partire dal 1908.
Non è solo l’automobile, tuttavia, a simboleggiare la velocità. Nel 1903 il primo aeroplano spicca il volo grazie ai fratelli Wright. Questo rivoluzionario mezzo di trasporto, che prende il nome di Flyer, funziona grazie al petrolio, nuova fonte di energia che va ad affiancare il carbone.
Sul versante politico, il Ventesimo secolo vede crescere le istituzioni e i partiti di massa. Questi nuovi partiti, fondati su una robusta ideologia e dotati di un forte senso di appartenenza, non si muovono solo nei parlamenti e consigli comunali, ma si mobilitano nelle piazze e nei luoghi di lavoro: i sindacati favoriscono e sostengono, insieme ai partiti, una maggiore partecipazione delle masse alla vita pubblica andando ad accentuare la conflittualità sociale.
È proprio in questo periodo di ampi cambiamenti che si afferma l’idea di avanguardia.
La parola avanguardia deriva dal francese ‘avant-garte’, che significa “avanti alla guardia”. Il termine viene utilizzato nel linguaggio militare e fa riferimento alle truppe che stanno in prima linea e hanno il compito di aprire un varco all’esercito. Per questo motivo, nel XX° secolo, la nozione avanguardia viene usata metaforicamente per contraddistinguere un gruppo ristretto di individui dotati di maggiore coscienza, intuizione e capacità creativa, che avevano come obbiettivo, quello di essere più ‘avanti’ rispetto ai contemporanei, quindi rompere la tradizione, aprire gli occhi, stimolare e guidare le masse alla modernità.
Gli avanguardisti si assumono il compito di nuova élite, con lo scopo di guidare la società di massa, aiutandola a trovare una direzione spirituale e politica, culturale ed ideologica.
In altre parole, avanguardia è una risposta alla crisi innescata dalle trasformazioni indotte dalla modernità, che hanno destabilizzato e messo in discussione la società.
Le avanguardie, come dimostra ad esempio il Futurismo in Italia, parlano alle masse attraverso il linguaggio del mito, della nazione e della rivoluzione, dello sciopero generale e della guerra.

Il Futurismo

La pubblicazione del Manifesto del futurismo di Filippo Tommaso Marinetti su “Le Figaro”, giornale parigino, il 20 febbraio 1909 segna ufficialmente la nascita del primo movimento artistico d’avanguardia organizzato.
Non era un caso: l’atto di fondazione della neonata avanguardia doveva trovare ospitalità in un giornale internazionale, per segnare già in partenza una presa di distanza e un superamento dello stanco e un po’ asfittico provincialismo classicheggiante in cui era impastoiata la gran parte  della  letteratura italiana del tempo. Allo stesso tempo, proprio nel momento in cui l’Italia, in ritardo rispetto ai maggiori Paesi europei, conosceva l’acme del suo decollo industriale, Marinetti indicava come elemento propulsore del proprio movimento la volontà di rompere col passato, accettando il confronto con la modernità e con lo sviluppo. Una sfida elusa dalla maggioranza degli intellettuali, costretti a rimpiangere l’aureola perduta e a vivere la decadenza della propria condizione, ormai marginale nella società di massa, che aveva cancellato i valori sacrali dell’arte sostituendoli con le visioni prosaiche della tecnica, della modernità e del progresso. Il Futurismo, al contrario, esigeva che l’artista uscisse dall’isolamento della torre d’avorio e contaminasse se stesso e la propria creatività con la vita del proprio tempo, scendendo nelle piazze, confrontandosi con l’attualità e i costumi contemporanei, interagendo col pubblico e diffondendo le proprie intuizioni tra la folla. Tale intento spiega due delle sue più peculiari e innovative caratteristiche: in primo luogo, la diffusione delle idee per mezzo di strategie pubblicitarie raffinatissime, capaci di mobilitare l’attenzione dell’opinione pubblica, stimolata e coinvolta da modalità e tecniche di réclame attinte dalla comunicazione politica e sindacale più dinamitarda, come la diffusione del manifesto e del volantino o l’organizzazione di comizi e manifestazioni pubbliche (ma rientrava nell’ottica di tale proselitismo anche il celebre espediente della “serata futurista”, l’incontro teatrale volutamente tempestoso in quanto sovvertitore dei pregiudizi della mentalità borghese). Ma tipico dell’avanguardia futurista era in particolare la convinzione che essa non potesse prescindere dal principio arte-vita e che pertanto dovesse abbracciare, in un progetto di contestazione globale, tutti gli aspetti dell’esistenza quotidiana, mirando a un profondo rinnovamento morale, estetico e filosofico. Certo, la battaglia futurista riguardava soprattutto l’arte: “la poesia – scriveva Marinetti – deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo”. Ma, oltre che contro l’“Italia retorica, professorale, greco-romana e medioevale di Carducci, l’Italia georgica, piagnucolosa e nostalgica di Pascoli, l’Italia bigotta del piccolissimo Fogazzaro, l’Italia erotomane e rigattiera di D’Annunzio”, i futuristi si scagliavano contro il moralismo piccolo-borghese, la pedanteria e la viltà del costume imperante nell’Italietta giolittiana, ai loro occhi burocratica e mediocre. Il merito maggiore di Marinetti fu comprendere che l’era industriale e tecnologica, cambiando stili e abitudini degli individui, ne modificasse anche la psicologia: di qui, la necessità di formulare le basi di una cultura non più ancorata a vecchi, anacronistici schemi “passatisti”, e di un linguaggio rinnovato, tanto nella letteratura quanto nelle arti figurative, nella musica, nel teatro, nell’architettura e così via. In questo senso, il manifesto di fondazione del Futurismo rappresenta molto più che un semplice elenco di astratte enunciazioni: esso si configura come il riassunto di un nuovo credo o, se si preferisce, di una religione del vivere adatta ai tempi e perciò espressione del dinamismo del mondo moderno. Vi veniva cantata la civiltà della macchina e celebrata la bellezza del mondo industriale, dalle cui vertiginose e tecnologiche suggestioni sarebbe nato un uomo, finalmente emancipato dal torpore della vile esistenza borghese e dai lacci della vecchia cultura tradizionale.
Il Futurismo assume diverse dimensioni: quella di movimento d’azione politica, culturale e mediatica e quella di movimento artistico, al quale partecipano numerosi artisti dell’epoca.
Per tanto, non esiste un solo futurismo, bensì movimenti futurismi che differiscono per espressione e per preferenza politica, ma sono accomunati dalla volontà di rottura (come ad esempio il futurismo spagnolo e il futurismo russo).
L’avanguardia marinettiana non ebbe tuttavia un carattere ideologico omogeneo alle categorie tradizionali della destra e sinistra ottocentesche. I futuristi, è vero, glorificarono l’amore del pericolo, l’audacia, la guerra, definita “sola igiene del mondo” e il “patriottismo”: il che ha reso quasi automatico il loro accostamento alle posizioni che nel dopoguerra avrebbero alimentato il movimento fascista. Ma in realtà, benché la gran parte di essi finirono per indossare la camicia nera (in primis lo stesso Marinetti, che finì addirittura, con buona pace delle sue originarie intemperanze, Accademico d’Italia), i manifesti enuncianti le loro oltranzistiche teorizzazioni presentavano soluzioni politiche, per così dire, irregolari, celebrando da un lato bellicismo e nazionalismo (il che li portò a essere nella schiera più accesa degli interventisti), ma dall’altro anche “il gesto  distruttore  dei  libertari”,  ogni manifestazione di rottura dell’ordine costituito, l’anarchia (va ricordato che il Futurismo ebbe, tra l’altro, notevole diffusione nella Russia rivoluzionaria: si pensi a un artista come Majakovskij). Perfino l’invocato “disprezzo della donna non va preso alla lettera: non alla donna in quanto tale andava riferita la polemica, ma ad una sua immagine sentimentalistica e lacrimosa di cui era infarcita la melensa retorica romantica. Anzi, va sottolineato come Marinetti a cavallo della Grande Guerra fosse il primo intellettuale italiano ad affrontare la questione femminile con un punto di vista decisamente progressista, invocando una piena emancipazione anche attraverso l’istituzione del divorzio, la concessione del voto e della parità salariale e giuridica e perfino il superamento del matrimonio inteso come un “carcere” e una “barbarie”.

Futurismo e comunicazione.

Sul piano letterario, la negazione della tradizione si tradusse più che sulla individuazione di nuovi contenuti (benché sempre nel manifesto del 1909 si esalti il canto delle “grandi folle agitate dal lavoro”, del “vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche”, delle “stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano”, di “officine”, “piroscafi”, “locomotive” e “aeroplani”), nello stravolgimento della lingua poetica, grazie alla teoria delle “parole in libertà”. Rigettate la sintassi e le parti qualificative del discorso, quali aggettivi e avverbi, occorreva disporre “i sostantivi a caso, come nascono”, senza alcun legame grammaticale e sintattico. In tal modo, secondo il Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912, era possibile ottenere quella “simultaneità di stati d’animo” già teorizzata da pittori futuristi quali Boccioni, Carrà, Severini e Balla. L’abolizione della punteggiatura, l’uso del verbo all’infinito, l’ortografia libera erano tutti elementi di purificazione del linguaggio che avrebbero permesso all’immaginazione di snodarsi “senza fili” o condizionamenti logici, dando sfogo all’intuizione e all’impressione immediata.

Marinetti intuisce che l’uomo del futuro, travolto dalla velocità, utilizzerà poche manciate di parole senza punteggiatura, i segni della matematica per arrivare ad un maggior sintetismo e infine utilizzerà segni che riproducono la mimica facciale. Egli prevede con cent’anni d’anticipo gli SMS, gli emoticons e gli hashtag.
Tutte le avanguardie hanno come obiettivo quello di rovesciare e rompere la cultura precedente.
L’arte d’avanguardia si autodefinisce orfana e non riconosce padri poiché non vuole essere qualcosa di “ereditario”, non è nata per via evolutiva dall’arte e dai valori ottocenteschi, bensì ricerca nel presente l’originalità.
Il Futurismo, come dice la parola stessa, riguarda il futuro. Il futuro, come spiega Günter Berghaus, è parte essenziale dei Manifesti e delle opere del Movimento: i futuristi tentano di immaginare forme di espressione che non riflettano solo il presente, bensì si misuravano con ciò che sarebbe accaduto nei successivi venti, cinquanta, cent’anni.
Il movimento futurista ricerca la popolarità e, per tale scopo, cerca strade alternative di comunicazione. In un mondo sempre più popolato e distratto è necessario stupire e impressionare.
Marinetti intuisce ben presto i grandi poteri della comunicazione di massa: le nuove forme di comunicazione nate dal progresso tecnologico, quali il cinema, la radio, il grammofono e la grande distribuzione di giornali e riviste, diventeranno protagoniste del movimento.

Il Futurismo e la Matematica

Marinetti e i futuristi amarono molto, o credettero di amare, la matematica. Le attribuivano una perfezione antiromantica e soprattutto una potenza di linguaggio innovativa senza precedenti.
 Non deve dunque stupire l’interesse del movimento per il campo scientifico. Nel 1940 venne pubblicato il Manifesto della Matematica, intitolato “Calcolo poetico delle battaglie. La matematica futurista immaginativa qualitativa”, redatto da Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento, in collaborazione con il matematico Marcello Puma e il poeta futurista, nonché chirurgo, Pino Masnata.
Viene esplicitamente affermato che «Il Futurismo italiano rinnova oggi anche la matematica La verità scientifica non è unica quindi è variabile il suo spirito cercatore […] La nostra matematica antifilosofica antilogica antistatica è cosciente fuoco di artificio delle ipotesi guizzanti nelle tenebre della attonita scienza».
«Questa matematica farla entrare direttamente nella vita facendo vivere accanto a noi respiranti tutte le ipotesi respiranti Ognuno applichi il soggettivo tutto proprio calcolo delle probabilità».
Oltre a una nuova matematica, viene proposto un diverso concetto di geometria: una geometrica poetica, soggettiva, basata sulla misurazione astratta delle forme e dei dinamismi contenuti nelle immagini. Questa idea si collega al concetto di intuizione, considerato dai futuristi come lo strumento che, insieme all’istinto e all’irrazionalità, permetterà all’uomo di imporsi sulla realtà trasformata dai nuovi mezzi tecnici, situandosi dunque in un posto privilegiato rispetto alla ragione e la razionalità.

«Matematici affermiamo l’essenza divina del CASO e dell’AZZARDO Applichiamo il calcolo delle probabilità alla vita sociale Costruiremo città futuriste perché architettate mediante la geometria poetica»gli stessi matematici sono invitati ad amare nuove e diverse geometrie.

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Questa predilezione dei futuristi per la matematica e la geometria è visibile già nei primi anni di vita del movimento con il manifesto “Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica” del 1914, dove si afferma l’intenzione di creare una nuova bellezza sostitutiva di quella attuale, passatista, ritenuta romantica, simbolista e decadente: questa nuova bellezza è chiamata appunto «splendore geometrico e meccanico». Il vedere la nuova bellezza nella geometria, nei numeri e nella meccanicità, riporta al culto della macchina e del dinamismo, che fu sempre una delle tematiche chiave del movimento.

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